Articolo 21 - Editoriali
Le parole: Carofiglio e il Manifesto d'Ottobre
di Federico Orlando
Stavo leggendo il libro-saggio-romanzo di Gianrico Carofiglio “La manomissione delle Parole” (Rizzoli), quando, per intervallare, gli occhi mi cadono sul corsivo di Giuliano Ferrara, in difesa del cavaliere contro i “tribuni dell’opinione”, che vogliono disarcionarlo. Difesa non nuova, né indecente. Ma non convince l’antifona, quando dice che i “sogni” diffusi dal berlusconismo sono il contrario simmetrico delle “illusioni” novecentesche dei suoi avversari. Non solo di sinistra, credo. E’ appena uscito il Manifesto di Ottobre, che, come quello marinettiano di un secolo fa, sarà poi seguito dai “manifesti correlati”, che fanno il programma. Anche nel Manifesto di Ottobre, senza gli scoppiettii marinettiani, ci sono “modelli italiani” di paideia, cittadinanza, diritti civili, beni comuni, investimento su arti, sapere, conoscenza, rappresentanza degli invisibili o emarginati o autoemarginati, garanzie di libertà e disponibilità di sé. “Sogni” come quelli di Berlusconi, o “illusioni” come quelle della sinistra? La diferenza non è pccola: i sogni possono essere conturbanti ma restano innocui, le illusioni sono spesso pericolose.
Ma farne la base di una guerra manichea – la destra dei sogni e la sinistra delle illusioni – è impossibile. Come si torna al saggio di Carofiglio, ecco un giudizio sul titolo che Gramsci diede alla sua rivista, La città futura: “Da solo questo titolo costituisce una lezione sul linguaggio della politica e sulla possibilità di raccontare un sogno riconoscibile e condivisibile di progresso civile”. Anche da sinistra, evidentemente, possono venire sogni, e non illusioni. Anche dai nuoivi “futuristi” di Fli. Tutto sta a vedere chi recepirà le parole, se le parole hanno ancora il significato che sta nei vocabolari o hanno perso l' indipendenza a favore del gergo e delle necessità mimetiche degli interessi. Cosa che induce il sito democrazialinguistica.it a aprire un corso per italiani e immigrati sul rapporto fra lingua e potere.
En arché én ò lògos, ricorda Carofiglio, da noi ridotto “In principio era la parola”. Del resto, logos, verbum, parola, pensiero, racconto, das Wort, sono quasi sinonimi. Faust – scrive – poco prima di vendersi a Mefistofele, si blocca su quel rigo di Giovanni: non gli va che in principio sia la parola, das Wort, potrebbe ben essere stata l’energia; anzi, sicuro, era l’azione, die Tat. Questa scelta fu cara a Hitler, che confidò: “Io non amo Goethe. Ma sono disposto a perdonargli molto per via di una sola parola: in principio era l’azione”. Infatti, privata di pensiero, cioè della sua sostanza, la parola è azione senza pensiero, libertà di nonsense o anche di delinquere. “Sarà bene riflettere sulle degenerazioni cui può condurre l’enfasi del ‘fare’ ”, ci dice Carofiglio, scrittore, senatore del Pd, ex magistrato. Il “governo del fare” non è propriamente il governo del riflettere, delle idee chiare e distinte. Nascono così le Terzigno, i post-terremoti, i ministri Brancher per un giorno, la P3, la rivolta di Fini, la pseudosecessione di Micciché, i quindici o sedici “lodi” caduti, le riforme annunciate e non mantenute “A imperituro ricordo della politica del ‘non fatto’ “, ironizzava sul Messaggero Mario Aiello.
Come ogni altra neolingua, anche quella dei sogni berlusconiani ha una sua chiave d'accesso, una stele di Rosetta. Si sa che “lodo” non vuol dire arbitraggio ma salvacondotto; che “reiterazione” del salvacondotto ad personam significa impunità perpetua; che “paccottiglia costituzionale” (Ferrara) significa disconoscimento della costituzione da parte di chi ha giurato di esserle fedele; che “certa magistratura” vuol dire magistrati che vogliono applicare il codice penale e civile; che “premier eletto dal popolo” vuol dire scrivere il proprio nome nel simbolo del partito; che “missione di pace” (ma il vezzo è sia di destra che di sinistra) vuol dire “missione di guerra per riportare la pace”, come spiega al Corriere della sera il generale Blais; che “governo illegittimo” è quello che il parlamento potrebbe eleggere legittimamente dopo la caduta del Berlusconi 4; che “sana laicità” significa esecuzione degli ordini della gerarchia in politica; ecc.
Il Manifesto di Ottobre è scritto con parole “manomesse” o che sono state ricostruite e restituite al loro senso? Opterei, a occhio, per la seconda ipotesi. Cioè, restituiscono contenuto autentico e non manomesso alla democrazia. La politica del fare diventa prima di tutto politica del riflettere con parole vere. Così: “La politica laica protegge, custodisce, riveste la nuda persona di tutti i diritti civili, che vanno precisamente declinati e garantiti; ma afferma anche il valore dei diritti politici, che fanno di una persona un cittadino attivo”. C'è un po' l'appello di Carofiglio, che chiede il ritorno a “parole primarie, spesso gravemente svuotate: riempirle, restituire loro la vita, renderle secondo l'espressione del filosofo francese Brice Parain, 'pistole cariche' ”. Sono le sole pistole della democrazia. Diversamente da quelle manomesse, che sono scimitarre della satrapia.
Ma farne la base di una guerra manichea – la destra dei sogni e la sinistra delle illusioni – è impossibile. Come si torna al saggio di Carofiglio, ecco un giudizio sul titolo che Gramsci diede alla sua rivista, La città futura: “Da solo questo titolo costituisce una lezione sul linguaggio della politica e sulla possibilità di raccontare un sogno riconoscibile e condivisibile di progresso civile”. Anche da sinistra, evidentemente, possono venire sogni, e non illusioni. Anche dai nuoivi “futuristi” di Fli. Tutto sta a vedere chi recepirà le parole, se le parole hanno ancora il significato che sta nei vocabolari o hanno perso l' indipendenza a favore del gergo e delle necessità mimetiche degli interessi. Cosa che induce il sito democrazialinguistica.it a aprire un corso per italiani e immigrati sul rapporto fra lingua e potere.
En arché én ò lògos, ricorda Carofiglio, da noi ridotto “In principio era la parola”. Del resto, logos, verbum, parola, pensiero, racconto, das Wort, sono quasi sinonimi. Faust – scrive – poco prima di vendersi a Mefistofele, si blocca su quel rigo di Giovanni: non gli va che in principio sia la parola, das Wort, potrebbe ben essere stata l’energia; anzi, sicuro, era l’azione, die Tat. Questa scelta fu cara a Hitler, che confidò: “Io non amo Goethe. Ma sono disposto a perdonargli molto per via di una sola parola: in principio era l’azione”. Infatti, privata di pensiero, cioè della sua sostanza, la parola è azione senza pensiero, libertà di nonsense o anche di delinquere. “Sarà bene riflettere sulle degenerazioni cui può condurre l’enfasi del ‘fare’ ”, ci dice Carofiglio, scrittore, senatore del Pd, ex magistrato. Il “governo del fare” non è propriamente il governo del riflettere, delle idee chiare e distinte. Nascono così le Terzigno, i post-terremoti, i ministri Brancher per un giorno, la P3, la rivolta di Fini, la pseudosecessione di Micciché, i quindici o sedici “lodi” caduti, le riforme annunciate e non mantenute “A imperituro ricordo della politica del ‘non fatto’ “, ironizzava sul Messaggero Mario Aiello.
Come ogni altra neolingua, anche quella dei sogni berlusconiani ha una sua chiave d'accesso, una stele di Rosetta. Si sa che “lodo” non vuol dire arbitraggio ma salvacondotto; che “reiterazione” del salvacondotto ad personam significa impunità perpetua; che “paccottiglia costituzionale” (Ferrara) significa disconoscimento della costituzione da parte di chi ha giurato di esserle fedele; che “certa magistratura” vuol dire magistrati che vogliono applicare il codice penale e civile; che “premier eletto dal popolo” vuol dire scrivere il proprio nome nel simbolo del partito; che “missione di pace” (ma il vezzo è sia di destra che di sinistra) vuol dire “missione di guerra per riportare la pace”, come spiega al Corriere della sera il generale Blais; che “governo illegittimo” è quello che il parlamento potrebbe eleggere legittimamente dopo la caduta del Berlusconi 4; che “sana laicità” significa esecuzione degli ordini della gerarchia in politica; ecc.
Il Manifesto di Ottobre è scritto con parole “manomesse” o che sono state ricostruite e restituite al loro senso? Opterei, a occhio, per la seconda ipotesi. Cioè, restituiscono contenuto autentico e non manomesso alla democrazia. La politica del fare diventa prima di tutto politica del riflettere con parole vere. Così: “La politica laica protegge, custodisce, riveste la nuda persona di tutti i diritti civili, che vanno precisamente declinati e garantiti; ma afferma anche il valore dei diritti politici, che fanno di una persona un cittadino attivo”. C'è un po' l'appello di Carofiglio, che chiede il ritorno a “parole primarie, spesso gravemente svuotate: riempirle, restituire loro la vita, renderle secondo l'espressione del filosofo francese Brice Parain, 'pistole cariche' ”. Sono le sole pistole della democrazia. Diversamente da quelle manomesse, che sono scimitarre della satrapia.
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