di Raphaël Zanotti*
Sono passati tre anni esatti dalla notte che ha cambiato Torino. Nella città dove è nato il movimento operaio e dove ancora oggi si detta la politica industriale, sette operai sono stati arsi vivi dall’incendio scoppiato alle acciaierie della ThyssenKrupp di corso Regina Margherita. Stavano svolgendo il loro turno di notte. Una tragedia, resa ancora più crudele dalla morte lenta ma inesorabile delle ustioni. Si sono spenti l’uno dopo l’altro, gli operai della Thyssen. Giuseppe De Masi, l’ultimo ad andarsene, è deceduto ventiquattro giorni dopo il rogo. Una lunga agonia. Aveva solo 26 anni. Prima di lui era toccato ad Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo e Rosario Rodinò. Cosa resta di loro? Resta il dolore. Ovvio. Ma resta anche un processo che sta dettando nuove regole per le morti bianche.
Harald Espenhanh, amministratore delegato della ThyssenKrupp di Terni, è accusato di omicidio volontario. Un’ipotesi di reato mai imputata a un alto dirigente di azienda per un infortunio sul lavoro. La requisitoria dei pubblici ministeri Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso si sta avviando alla conclusione e, nei prossimi giorni, la parola passerà alle parti civili. Tra queste ci sono anche i sindacati di Fiom , Fim e Uilm.
I sindacati compaiono nel processo come rappresentanti dei lavoratori. Non si tratta solo di tutelare chi è morto, ma anche quei colleghi che lavoravano nelle stesse condizioni e che avrebbero potuto trovarsi al posto dei sette operai bruciati vivi. Condizioni che, secondo l’accusa, sono la causa dell’incendio: sporcizia, imperizia, abbandono, mancata osservanza delle norme e dei dispositivi antincendio. ThyssenKrupp sapeva - è la tesi della pubblica accusa - ma ha dirottato i soldi destinati alla sicurezza verso lo stabilimento di Terni. Quello di corso Regina Margherita a Torino era in dismissione.
I sindacati hanno da poco firmato una letta con la quale s’impegnano a utilizzare i soldi dell’eventuale risarcimento danni per dare vita e finanziare progetti formativi destinati a lavoratori e rappresentanze sindacali. Un modo per ricordare i caduti della Thyssen, un modo affinché la loro tragedia serva per migliorare la conoscenza e le condizioni lavorative dei loro colleghi ancora oggi in attività.
Ricordare i sette operai della ThyssenKrupp significa anche non dimenticarsi di chi è rimasto. Come i trenta lavoratori ancora in forza alla ThyssenKrupp. I sindacati sono ancora in attesa di un incontro richiesto a fine novembre agli assessori al Lavoro di Comune, Provincia e Regione. Il 31 dicembre scadrà il loro periodo di cassintegrazione e se non si troveranno ulteriori strumenti, per loro non rimane altro che la mobilità.
*da La Stampa