di Maurizio Calò*
Un delle Leggi di Murphy ammonisce che “Quando tutto sembra non funzionare è ora di leggere le istruzioni”.
In quest’Italia in cui anche quelli della destra dura e pura non disdegnano la paghetta di Pantalone nelle municipalizzate romane e il voto dei parlamentari si compra a un tanto al mazzo, tutto sembra proprio non funzionare più.
E’ dunque ora di leggere le istruzioni. A cominciare da quell’art. 54, comma 2°, della Costituzione che recita “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”.
E’ un precetto che non resta isolato nel panorama delle norme costituzionali, ma si collega alla diretta responsabilità dei funzionari, dei dipendenti e degli enti pubblici dello Stato (art. 28), al dovere dei pubblici dipendenti di essere all’esclusivo servizio della Nazione (art. 98) e al dovere di organizzare i pubblici uffici in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 97).
Nella nostra Carta troviamo quindi indicazioni precise sull’etica cui sono affidate le modalità soggettive ed organizzative di espletamento della funzione pubblica. Indicazioni che, per vero, sono rimaste in disparte per alcuni decenni, ma che ritornano di piena attualità quando i festini selvaggi del Presidente del Consiglio costringono a impuntarsi di fronte alla raccapricciante risposta che fa perno sulla distinzione tra la sua vita pubblica e quella privata. Appare inammissibile rivendicare, per la più alta carica esecutiva pubblica, il diritto ad una vita privata … della disciplina e dell’onore, nonché del rispetto per il giuramento fatto nelle mani del Presidente della Repubblica.
Uno dei problemi fondamentali delle nostre norme costituzionali consiste nell’individuare quelle con valore immediatamente precettivo da quelle che ne sono prive e per lungo tempo si è ritenuto che l’art. 54, comma 2°, appartenesse alla seconda categoria ricostruendo i significati di “disciplina” e “onore” come un monito di dubbia valenza giuridica, ovvero la sintesi di altre norme rinvenibili nel diritto pubblico, come la responsabilità disciplinare o la fedeltà all’amministrazione del pubblico dipendente.
Ma lo straripare della corruzione morale e materiale che la cronaca ci consegna quotidianamente, costringe a dare una bella spolverata a questo articolo della Carta fondamentale valorizzandone quella forza precettiva immediata e diretta nell’ordinamento di cui si sente assoluta e profonda esigenza.
Con sgomento si scopre, però, che quando si va a cercare di riempire di contenuti le parole “disciplina” e “onore”, si sentono riecheggiare nella mente termini in odor di naftalina. Come aprire un baule dimenticato in soffitta.
I vocabolari definiscono l’onore come dignità, moralità, onestà, decoro, correttezza, sincerità, lealtà, rispettabilità, integrità, irreprensibilità, virtù.
I testi linguistici, inoltre, definiscono la disciplina, nel senso che qui interessa, come regola, severità, rigore, austerità, inflessibilità, controllo.
Parole che stridono come il gessetto sulla lavagna se raffrontate con la moda comportamentale che prevale.
Invece, in entrambi i casi, dalla Costituzione vengono descritte le qualità e le attitudini soggettive da individuarsi tra coloro che si candidano all’affidamento di funzioni pubbliche tramite quel pubblico concorso, richiesto dall’art. 97, ultimo comma, della Costituzione, che a tale obbligo sottrae alcuni casi di certo non riconoscibili nelle 2500 assunzioni nelle aziende del Comune di Roma.
La circostanza che più di ogni altra deprime è che i più importanti dei pubblici concorsi, cioè le elezioni ai governi tanto nazionali quanto locali, hanno visto anche da ultimo la vittoria della destra populista e sempre meno di centro, nonostante esempi destabilizzanti ancora recenti ed impossibili da dimenticare in così poco tempo, come i dieci miliardi della sanità regionale del Lazio scavati dall’amministrazione di Storace, rinunciando alla candidatura prestigiosa di Emma Bonino. Oppure le immaginifiche firme per Formigoni. O i numerosi procedimenti penali cui il Premier è stato sottoposto, o il suo macroscopico conflitto di interessi.
Verrebbe da concludere con rassegnazione che gli italiani hanno quello che si meritano, ma l’influenza di troppi poteri estranei alla democrazia, dal Vaticano alle televisioni, determina una forte attenuante nella responsabilità degli elettori e stimola a continuare a combattere alla ricerca di quei poteri che, oltre che forti, siano anche sani e, quindi, gli unici da sostenere. A partire dal Presidente della Repubblica che della Costituzione è il custode ed il garante.
*Presidente dell’Associazione Migrare – www.migrare.eu