di Maria Bonafede*
Il 9 febbraio di due anni fa moriva Eluana Englaro. Tutti ricordiamo quella vicenda, il clamore e le
polemiche contro il gesto di amore e di pietà voluto da Beppino Englaro per rispettare la volontà di
Eluana. Alla compostezza e alla misura con cui Beppino Englaro ha vissuto quella vicenda,
purtroppo non hanno corrisposto atteggiamenti analoghi da parte dei suoi detrattori e dei suoi
critici.
Eppure, io sono certa che la vicenda di Eluana ha creato un precedente dal quale non si può
tornare indietro nonostante il cattivo gusto e l’inopportunità della decisione del Consiglio dei
ministri di indire una "giornata degli stati vegetativi”, nonostante la proposta di legge Calabrò, già
approvata dal Senato, che va contro la dignità e la libertà dei cittadini e contro la libertà di
coscienza sancita dalla Costituzione.
La perseveranza di Englaro ha creato una coscienza diversa e diffusa che in questi anni ha aperto
riflessioni plurali su tante cose.
Si è capito che in tanti casi la morte non è un fatto naturale ma dipende dalla decisione dei medici.
La scienza medica rende la vita più lunga ma non sempre migliore. Se quindi non è la “natura” a
decidere, chi deve decidere della morte? Il paziente? il medico? la famiglia? la chiesa? La mia
risposta è che a decidere può essere solo il paziente. Non si può imporre il proprio punto di vista
ad un altro, nessuno lo può fare, né un medico, né un familiare, né una chiesa. Oggi questa
semplice realtà, che d’altronde la Costituzione afferma e che per molti era acquisita da sempre è
più diffusa, è diventata patrimonio di tanti.
Non siamo eterni minori che hanno bisogno di essere guidati e presi per mano da qualcuno che
pensa di sapere qual è il nostro bene. Siamo donne e uomini adulti, con la schiena diritta. La fatica
di vivere, ma anche la bellezza della vita, è che possiamo e dobbiamo prendere decisioni che
nessuno può prendere al nostro posto. Questo vale anche per la conclusione della nostra vita. E
nel caso non fossimo più in grado di farlo è importante che le perone che ci amano e ci conoscono
possano chiedere che sia rispettata la nostra volontà e la nostra visione delle cose.
La chiesa valdese lo sa da sempre che la vita è un dono che riceviamo da Dio insieme alla libertà
e alla responsabilità di farne qualcosa di buono, di metterla al servizio del prossimo, di cercarne il
senso insieme agli altri uomini e alle altre donne. Nessuno può frapporsi tra la nostra coscienza e
Dio, nessuno può mediare, nessuno ci può togliere il bene prezioso della coscienza individuale e la
libertà di decidere e anche eventualmente di sbagliare. Una legge come quella proposta dal ddl
Calabrò, che vorrebbe ridurre le persone a minori sotto tutela, è una legge che non rispetta la
Costituzione e, ne sono profondamente convinta, nemmeno la libertà dei figli di Dio.
*moderatora della Tavola valdese- tratto da NEV settimanale