Articolo 21 - Editoriali
I costi e i vizi della politica, tra conservazione e demagogia
di Fernando Cancedda
“A noi sacrifici, a voi privilegi”. L'indignazione popolare per lo spreco di denaro pubblico legato ai costi della politica monta ogni giorno di più, com'era prevedibile dopo il varo della manovra finanziaria. Inevitabile ma iniqua, tutta a carico di chi già subisce da anni il peso maggiore della pressione fiscale. E non ha torto Piero Fassino, a temere che un sentimento popolare sincero quanto motivato possa essere “cavalcato da chi teme il cambiamento nel paese”.
“Vedono la fine di una classe dirigente, – precisa il nuovo sindaco di Torino subito dopo aver dato le dimissioni da deputato – temono l'apertura di una fase nuova e allora cercano di buttare all'aria tutti. Il modo migliore per rispondere non è arroccarsi, ma mettere in campo le misure di riforme del Parlamento, dei costi della politica e delle istituzioni”.
Parole di elementare buon senso, che tuttavia nelle nostre Camere dei “nominati” non riescono ancora a far presa. L'arroccamento infatti prevale. Paralizzata dalla crisi interna e dagli scandali che emergono a grappolo dalle cronache giudiziarie, la maggioranza berlusconiana reagisce istericamente con una rabbiosa difesa dell'esistente, incurante del precipizio verso il quale va trascinando l'intero paese.
Di fronte a questa minaccia, ci si attenderebbe un'opposizione decisa e compatta non solo nel chiedere le dimissioni del governo, ma anche nel presentare all'elettorato un'alternativa politica e programmatica omogenea per l'immediato futuro. Purtroppo, nonostante la buona volontà di qualcuno, non è così. Sulla politica industriale come sulla politica estera e di difesa, sulla riforma elettorale come sui costi della politica, la sintesi è ancora di là da venire. Si stenta perfino a trovare un minimo di coerenza tra gli stessi democratici, come è accaduto con il voto per l'autorizzazione all'arresto del senatore Tedesco.
A quasi vent'anni da tangentopoli e a trenta dalla scoperta delle liste della P2, non pare che la cosidetta questione morale abbia segnato significativi passi avanti nel costume degli italiani. Verrebbe voglia di chiedersi se questi ultimi sono più turbati dalle cifre corrisposte ai politici, probabilmente eccessive ma trasparenti, oppure dagli episodi di corruzione e contiguità col crimine che dalle indagini e dalle intercettazioni continuano implacabili a rivelarci un preoccupante sommerso. Preoccupante ma dato quasi per scontato, perché “la politica è una cosa sporca”. D'altronde, il coinvolgimento anche recente di personalità al di sopra di ogni sospetto non giova a smentirli.
Va un po' meglio nella cosidetta “società civile”, dove abbiamo appena registrato un positivo risveglio ed un livello di partecipazione democratica senza precenti, soprattutto nel mondo giovanile. Qui semmai il rischio è quello di un certo pressapochismo nel promuovere la mobilitazione intorno a formule suggestive quanto semplicistiche, a volte sicuramente improbabili, come il tetto retributivo unico per tutti gli eletti o addirittura esteso a tutti quelli che campano di denaro pubblico.
Sono appelli che hanno un certo effetto mediatico ma trascurano di approfondire quanto ne deriverebbe, se fossero accolti, in un contesto abbondantemente condizionato dalle cricche e dalla corruzione, dalla dequalificazione della funzione pubblica e dalla concorrenza sempre più agguerrita del management privato.
Mi è capitato di dover esprimere queste riserve su Facebook. Non sarebbe meglio, ho chiesto, cercare invece di allargare il consenso a riforme già proposte, come l'accorpamento dei comuni e l'abolizione totale o parziale delle province, la riduzione dei parlamentari, degli assessori e dei consiglieri e così via? Mi piacerebbe che qualcuno mi rispondesse.
www.nandokan.it
“Vedono la fine di una classe dirigente, – precisa il nuovo sindaco di Torino subito dopo aver dato le dimissioni da deputato – temono l'apertura di una fase nuova e allora cercano di buttare all'aria tutti. Il modo migliore per rispondere non è arroccarsi, ma mettere in campo le misure di riforme del Parlamento, dei costi della politica e delle istituzioni”.
Parole di elementare buon senso, che tuttavia nelle nostre Camere dei “nominati” non riescono ancora a far presa. L'arroccamento infatti prevale. Paralizzata dalla crisi interna e dagli scandali che emergono a grappolo dalle cronache giudiziarie, la maggioranza berlusconiana reagisce istericamente con una rabbiosa difesa dell'esistente, incurante del precipizio verso il quale va trascinando l'intero paese.
Di fronte a questa minaccia, ci si attenderebbe un'opposizione decisa e compatta non solo nel chiedere le dimissioni del governo, ma anche nel presentare all'elettorato un'alternativa politica e programmatica omogenea per l'immediato futuro. Purtroppo, nonostante la buona volontà di qualcuno, non è così. Sulla politica industriale come sulla politica estera e di difesa, sulla riforma elettorale come sui costi della politica, la sintesi è ancora di là da venire. Si stenta perfino a trovare un minimo di coerenza tra gli stessi democratici, come è accaduto con il voto per l'autorizzazione all'arresto del senatore Tedesco.
A quasi vent'anni da tangentopoli e a trenta dalla scoperta delle liste della P2, non pare che la cosidetta questione morale abbia segnato significativi passi avanti nel costume degli italiani. Verrebbe voglia di chiedersi se questi ultimi sono più turbati dalle cifre corrisposte ai politici, probabilmente eccessive ma trasparenti, oppure dagli episodi di corruzione e contiguità col crimine che dalle indagini e dalle intercettazioni continuano implacabili a rivelarci un preoccupante sommerso. Preoccupante ma dato quasi per scontato, perché “la politica è una cosa sporca”. D'altronde, il coinvolgimento anche recente di personalità al di sopra di ogni sospetto non giova a smentirli.
Va un po' meglio nella cosidetta “società civile”, dove abbiamo appena registrato un positivo risveglio ed un livello di partecipazione democratica senza precenti, soprattutto nel mondo giovanile. Qui semmai il rischio è quello di un certo pressapochismo nel promuovere la mobilitazione intorno a formule suggestive quanto semplicistiche, a volte sicuramente improbabili, come il tetto retributivo unico per tutti gli eletti o addirittura esteso a tutti quelli che campano di denaro pubblico.
Sono appelli che hanno un certo effetto mediatico ma trascurano di approfondire quanto ne deriverebbe, se fossero accolti, in un contesto abbondantemente condizionato dalle cricche e dalla corruzione, dalla dequalificazione della funzione pubblica e dalla concorrenza sempre più agguerrita del management privato.
Mi è capitato di dover esprimere queste riserve su Facebook. Non sarebbe meglio, ho chiesto, cercare invece di allargare il consenso a riforme già proposte, come l'accorpamento dei comuni e l'abolizione totale o parziale delle province, la riduzione dei parlamentari, degli assessori e dei consiglieri e così via? Mi piacerebbe che qualcuno mi rispondesse.
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