Articolo 21 - Editoriali
Decreto missioni, la beffa Tremonti
di Emanuele Giordana
Un capolavoro di geometria finanziaria smentisce le già scarse buone notizie sul decreto di rifinanziamento delle missioni all'estero appena votato al Senato. Apparentemente ha aumentato i fondi di cooperazione civile di ben 16 milioni ma non è affatto così. Quell'aumento non solo è del tutto virtuale e probabilmente non ci sarà mai, ma sottrarrà anzi risorse alle già smilze casse della Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri
Questa volta il ministro Tremonti l'ha fatta davvero bella. Un capolavoro di diabolica geometria finanziaria o, se si preferisce, il trasferimento in Parlamento del gioco delle tre carte. Quelle dove si punta tutto su una figura che poi, come d'incanto, sparisce. La notizia arrivata ieri sui giornali nazionali era infatti che il decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero appena votato al Senato ha aumentato i fondi di cooperazione civile di ben 16 milioni. Un miracolo in tempi di tagli al spesa. Applausi che forse hanno anche convinto i più riottosi senatori del Pd ha votare a favore della legge. Ma non è affatto così. Quell'aumento non solo è del tutto virtuale e probabilmente non ci sarà mai, ma sottrarrà anzi risorse alle già smilze casse della Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri. (Mae).
Il trucco contabile, degno del re dei commercialisti e messo a punto dal Tesoro (Mef) è così sottile che nemmeno l'opposizione se n'è accorta. Poi, a tarda sera e facendo bene i conti, la verità è saltata fuori. Carta vince, carta perde.
In buona sostanza il governo ha accolto gli emendamenti delle opposizioni che avevano chiesto un aumento dei fondi per la cooperazione civile, tema molto sensibile specie per missioni come l'Afghanistan il cui segmento militare costa al contribuente circa 1,5 milioni di euro al giorno. Il testo licenziato dunque attesta che a tali fondi saranno aggiunti semestralmente 5 milioni per l'Afghanistan, 2,7 per altri Paesi e poco meno di un milione per sminamento e Staff College, la scuola di formazione per diventare funzionari di rango internazionale. Ma abilmente quanto surrettiziamente e nel linguaggio comprensibile soltanto ai più abili legulei, il decreto stabilisce che, al momento, gli otto milioni aggiuntivi per il Mae li dovrà anticipare... il Mae! Anticipo, spiega la legge, che verrà rimborsato a tempo debito e cioè tra ottobre e novembre con l'“assestamento di bilancio”, la manovrina che mette a posto i conti della finanziaria. Ma che succede nel dettaglio?
Poiché i fondi di cui il Mae può disporre sono quelli della Cooperazione (difficile che si chiuda l'ambasciata in Cina per coprire le spese a Kabul o a Beirut), la Cooperazione presterà soldi a se stessa. Qualcuno ci guadagnerà (l'Afghanistan fa la parte del leone) ma altri progetti verranno bloccati. In attesa del rimborso del Tesoro, il meccanismo di totale incertezza finirà per paralizzare una macchina burocratica già di per sé farraginosa e sempre più povera. Non solo: contrariamente ai denari del decreto missioni che possono essere spesi l'anno dopo (e normalmente provengono da un fondo gestito dal Tesoro), quelli “ordinari” del Mae devono essere impegnati con visto della Ragioneria entro l'inizio di dicembre dell'anno in corso. Col rischio che il prestito “transitorio” del Mae al Mae non venga rimborsato: semplicemente perché, non essendo stato impegnato, non è speso e dunque il Mef dovrebbe restituire al Mae il denaro per riprenderselo subito dopo. Si dirà, ma è possibile che non esista una clausola di “slittamento” dei fondi per sanare quella che più che una beffa appare una truffa? Il meccanismo c'era ma è stato appena abolito. E allora?
Carta vince carta perde, le opposizioni si sono affrettare a presentare emendamenti che ripristinassero ciò che era scritto originariamente nel decreto prima del golpe del Mef. Bocciati. Si pensa allora di poter far votare in Aula lunedi, anche ai colleghi della maggioranza, almeno un ordine del giorno che impegni il governo non toccare i soldi della Cooperazione e a reintrodurre la norma sullo slittamento. Ma un Ordine del giorno è solo un “odg”. Come quello dei condomini dove si listano le buone intenzioni. A Via XX Settembre se la devono ridere in due. Alla Difesa perché i soldi al comparto militare non si toccano, al Tesoro per l'ennesimo colpaccio delle tre carte. La parte dell'allocco la fa la Farnesina. In compagnia del contribuente italiano.
Questa volta il ministro Tremonti l'ha fatta davvero bella. Un capolavoro di diabolica geometria finanziaria o, se si preferisce, il trasferimento in Parlamento del gioco delle tre carte. Quelle dove si punta tutto su una figura che poi, come d'incanto, sparisce. La notizia arrivata ieri sui giornali nazionali era infatti che il decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero appena votato al Senato ha aumentato i fondi di cooperazione civile di ben 16 milioni. Un miracolo in tempi di tagli al spesa. Applausi che forse hanno anche convinto i più riottosi senatori del Pd ha votare a favore della legge. Ma non è affatto così. Quell'aumento non solo è del tutto virtuale e probabilmente non ci sarà mai, ma sottrarrà anzi risorse alle già smilze casse della Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri. (Mae).
Il trucco contabile, degno del re dei commercialisti e messo a punto dal Tesoro (Mef) è così sottile che nemmeno l'opposizione se n'è accorta. Poi, a tarda sera e facendo bene i conti, la verità è saltata fuori. Carta vince, carta perde.
In buona sostanza il governo ha accolto gli emendamenti delle opposizioni che avevano chiesto un aumento dei fondi per la cooperazione civile, tema molto sensibile specie per missioni come l'Afghanistan il cui segmento militare costa al contribuente circa 1,5 milioni di euro al giorno. Il testo licenziato dunque attesta che a tali fondi saranno aggiunti semestralmente 5 milioni per l'Afghanistan, 2,7 per altri Paesi e poco meno di un milione per sminamento e Staff College, la scuola di formazione per diventare funzionari di rango internazionale. Ma abilmente quanto surrettiziamente e nel linguaggio comprensibile soltanto ai più abili legulei, il decreto stabilisce che, al momento, gli otto milioni aggiuntivi per il Mae li dovrà anticipare... il Mae! Anticipo, spiega la legge, che verrà rimborsato a tempo debito e cioè tra ottobre e novembre con l'“assestamento di bilancio”, la manovrina che mette a posto i conti della finanziaria. Ma che succede nel dettaglio?
Poiché i fondi di cui il Mae può disporre sono quelli della Cooperazione (difficile che si chiuda l'ambasciata in Cina per coprire le spese a Kabul o a Beirut), la Cooperazione presterà soldi a se stessa. Qualcuno ci guadagnerà (l'Afghanistan fa la parte del leone) ma altri progetti verranno bloccati. In attesa del rimborso del Tesoro, il meccanismo di totale incertezza finirà per paralizzare una macchina burocratica già di per sé farraginosa e sempre più povera. Non solo: contrariamente ai denari del decreto missioni che possono essere spesi l'anno dopo (e normalmente provengono da un fondo gestito dal Tesoro), quelli “ordinari” del Mae devono essere impegnati con visto della Ragioneria entro l'inizio di dicembre dell'anno in corso. Col rischio che il prestito “transitorio” del Mae al Mae non venga rimborsato: semplicemente perché, non essendo stato impegnato, non è speso e dunque il Mef dovrebbe restituire al Mae il denaro per riprenderselo subito dopo. Si dirà, ma è possibile che non esista una clausola di “slittamento” dei fondi per sanare quella che più che una beffa appare una truffa? Il meccanismo c'era ma è stato appena abolito. E allora?
Carta vince carta perde, le opposizioni si sono affrettare a presentare emendamenti che ripristinassero ciò che era scritto originariamente nel decreto prima del golpe del Mef. Bocciati. Si pensa allora di poter far votare in Aula lunedi, anche ai colleghi della maggioranza, almeno un ordine del giorno che impegni il governo non toccare i soldi della Cooperazione e a reintrodurre la norma sullo slittamento. Ma un Ordine del giorno è solo un “odg”. Come quello dei condomini dove si listano le buone intenzioni. A Via XX Settembre se la devono ridere in due. Alla Difesa perché i soldi al comparto militare non si toccano, al Tesoro per l'ennesimo colpaccio delle tre carte. La parte dell'allocco la fa la Farnesina. In compagnia del contribuente italiano.
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