di Oliviero Beha
E’ morto ieri a Roma una persona particolare, di cui mi onoro di essere stato amico fino all’ultimo: sto parlando di Oreste Flamminii Minuto, storico legale del Gruppo Espresso per il quale ha curato per mezzo secolo tutte le cause per diffamazione del settimanale uscendone “imbattuto” e venendone rimeritato con un frettoloso “congedo” che lo ha offeso e addolorato negli ultimi tempi della sua vita.Non corta, apparentemente, 79 anni, eppure brevissima per quello che avrebbe ancora potuto dare come intelligenza professionale e passione civile.Non vi sto a elencare tutte le cose che ha fatto, come la presidenza della Camera penale di Roma negli anni ’90 o il fatto che fosse stato nominato giudice aggregato della Corte Costituzionale. Sembrerebbero note di potere, per un uomo che invece per tutta la vita ha difeso chi veniva aggredito e oppresso dal potere. E’ stato per decenni il più importante avvocato penalista occupato in cause di diffamazione a mezzo stampa, mettendo al primo posto di ogni diritto il diritto all’informazione. Stralcio da un libro edito da Baldini, Castoldi,Dalai di due anni fa, “Troppi farabutti. Il conflitto tra stampa e potere in Italia”,un paio di passi che rendono l’idea.
"…Per la tutela della reputazione oramai tutti scelgono la via giudiziaria, chiedendo risarcimenti dei danni via via sempre crescenti, fino a considerare come una sorta di benedizione il fatto che qualche giornale abbia osato parlar male, ovvero criticare il loro operato. E in tutti questi anni non solo non mi è mai capitato di imbattermi in una difesa davanti a un “giurì d’onore”, ma non ho avuto mai notizia di qualcuno che abbia invocato una pronuncia di questo giurì o che abbia chiesto la simbolica condanna al nummo uno, la simbolica lira o, oggi, il singolo euro! Insomma, il processo per diffamazione è diventato una sorta di opportunità unica per ottenere facili guadagni con il pretesto che la lesione della propria reputazione provoca un dolore, una sofferenza, un turbamento che va lenito con la corresponsione di una somma di danaro.
“Come tutte le cose anche la reputazione ha un prezzo, basato sulla sofferenza. Un professore universitario, Vincenzo Zeno Zencovich, ha studiato molte sentenze che hanno liquidato danni per la diffamazione e da alcune tabelle statistiche relative, ad esempio, al 1996 è emerso che il cosiddetto pretium doloris varia da categoria a categoria. Commisurando il danno al numero dei lettori raggiunti da uno stampato, un giornalista diffamato “soffre”, ad esempio, per una somma variabile da 7 a 24 lire a lettore, mentre un magistrato “soffre” per una somma che varia da 16 a 186 lire a lettore. Anche nella “sofferenza”, come può ben vedersi, non c’è uguaglianza. I criteri di liquidazione sono basati sull’equità, ma si può tranquillamente dire che l’equità presa a base delle decisioni può diventare spesso un arbitrio…”.
C’è già molto di quello che pensava e scriveva Oreste sulla realtà italiana e sull’informazione, la giustizia, il costume che la riguardano, non cessando di scandalizzarsi per la china o il precipizio che la libertà di stampa aveva preso in questo Paese, assai indietro anche in questo delicato e cruciale aspetto della vita pubblica e della democrazia, o sedicente tale. Non faceva sconti, Oreste, a nessuno in politica o nella sfera del potere e dei poteri, e neppure a se stesso. Abruzzese forte e gentile, aveva davvero le cosiddette “palle straquadre”.Quando alla fine dell’anno scorso scrisse una memorabile nota sull’impensabilità di un Wikileaks nostrano, cioè l’ipotesi che l’Assange del caso fosse italiano, nessuno la riprese per sviluppare il discorso. Nessuno raccolse né allora né mai pienamente la sua difesa a oltranza del diritto a esprimersi e a informare quale diritto sovrano e vincente sugli altri in un conflitto di diritti & doveri all’ordine del giorno in una società sempre più complessa.
Oreste considerava la lanterna dell’informazione la fonte primaria di illuminazione per il presente e il futuro, e non solo l’aforisma confuciano che definisce l’esperienza come lanterna illuminatrice dei tuoi passi già compiuti. Consiglio chiunque non abbia mai sentito parlare (abbastanza o per nulla) di lui di andarsi a cercare sul web o in libreria la sua storia, le sue arringhe, i suoi libri, le testimonianze della sua vita professionale colma di passione civile che non ha mai inteso come separata dal contesto personale: raramente mi è stato dato di incontrare e frequentare una persona vera, ricca, disponibile, calda come lui.
Mentre scrivo vengo a sapere che ci ha lasciato di recente anche un amico, un collega, un altro uomo di alto spessore umano e intellettuale, Vittorio Citterich, già famoso e impegnato corrispondente estero e vaticanista in una Rai ancora degna del nome che portava.
Stagione di potature, evidentemente. Mi chiedo che cosa sarà delle nuove pianticelle, ma mentre me lo chiedo ricavo ottimismo dallo straordinario, simile eppur caratterialmente diversissimo rigore morale di Oreste e di Vittorio. Non posso pensare che siano soltanto lezioni di vita “blowing in the wind”, alla Bob Dylan. Vi sia leggera la terra, in una inumazione solo materiale. E grazie, per quello che avete dato a chi vi ha conosciuto e a chi ha goduto magari distrattamente e indirettamente della bontà e della dignità del vostro impegno.