Articolo 21 - Editoriali
Da Lampedusa alle "navi prigione"...
di Bruna Iacopino
Un porto blindato presidiato costantemente da 500 uomini, tre “prigioni galleggianti” e 700 uomini ( per la maggior parte tunisini) stipati sopra, alla stregua di pericolosi criminali. A leggere le cronache di questi giorni ecco quale faccia ha assunto “l'accoglienza” nel Belpaese. Dopo la violenta rivolta scoppiata al CPA di contrada Imbriacola qualche giorno fa, causata con tutta probabilità dall'annuncio degli imminenti rimpatri o da una semplice situazione di tensione visto il protrarsi dei tempi di trattenimento, gli “ospiti” ( più di 1.200, anche se stando alle cronache di agosto qualcuno parla anche di 1.600 persone, contro una capienza regolare di 850) sono stati immediatamente prelevati per essere trasportati al Porto di Palermo, dove, a questo punto dovranno attendere con calma il rimpatrio effettivo, con una cadenza di un centinaio al giorno.
Questo stando alla disponibilità espressa dall'attuale governo di transizione tunisino.
Per capire meglio quanto accaduto in questi giorni sull'isola di Lampedusa, non solo rispetto alla protesta scoppiata ma anche al rapporto tra fenomeno migratorio e libertà di informazione, risulta interessante la corrispondenza dall'isola del fotoreporter Alessio Genovese, pubblicata ieri sul blog di Fortresseurope. Genovese infatti parte dalla questione informazione per poi riportare la sua testimonianza del giorno di protesta, testimonianza che diverge, su alcuni punti, da quanto riportato su altre testate: “ Ce li avevano descritti come dei criminali, ex galeotti in fuga dalla Tunisia per non saldare i conti con la giustizia. Fino alla giornata di ieri erano numeri che si aggiungevano alle migliaia di immigrati in arrivo dal Nord Africa. Negli ultimi mesi governo e forze dell'ordine hanno tentato di vietarci di comunicare con loro. Il diritto di cronaca e di informazione si era arrestato davanti alle continue intimidazioni e agli ostacoli messi apposta tra i giornalisti e loro. Oggi fanno notizia, sono i 1300 tunisini detenuti speciali di un sistema che ha paura loro. Sono diventati per 24 ore i paladini del diritto d'informazione in questa Italia in cui tutti si arrendono alle circostanze troppo in fretta.” Inizia così la sua corrispondenza dalla piccola isola pelagia per concludersi con il volto e il nome di un uomo: “ Muhammed E. ha 48 anni. Ha vissuto e lavorato per 18 anni a Padova fino al giorno in cui si è infortunato sul lavoro. Dal '97 è in causa con la EDIL MET srl e il suo avvocato ha smesso di seguirlo dal 2001 quando andò in convalescenza in Tunisia. Per negligenza del datore di lavoro è caduto da una impalcatura e gli hanno asportato la milza e un testicolo. Veniva in Italia per riprendersi la sua vita. La notte prima, quando quei volti avevano un nome, ci aveva chiesto di potere parlare con un responsabile del Governo. Adesso Muhammad ha del sangue che gli esce dalla testa e ha gli occhi pieni di paura. Il suo sogno di una vita migliore in Italia muore a Lampedusa.”
Accanto al racconto di Genovese la cui lettura integrale potete trovare a questo link, è importante poi ricordare che le proteste all'interno dei Cie sono un fenomeno ormai costante divenuto ancora più allarmante in seguito al prolungamento dei tempi di trattenimento fino a 18 mesi ed al fenomeno del sovraffollamento che oltre a riguardare le carceri, riguarda anche questi luoghi di vera e propria detenzione. A questo proposito risulta interessante anche un'altra testimonianza, questa volta della deputata PD Sandra Zampa come riportata da Repubblica il 22 luglio di quest'anno, dopo le proteste scoppiate presso il Cie di Via Mattei a Bologna: “ E poi si chiedono perché diano fuoco ai materassi. E’ il solo modo che hanno per provare a farsi ascoltare, per sfogare la rabbia e la paura, per chiedere libertà e dignità”. Queste le parole usate dall'On.Zampa. E ancora più avanti: “ Il termine accoglienza non si può usare - sottolinea l’onorevole - perché le persone chiuse all’interno sono trattate come detenute".
Luoghi di detenzione e non di accoglienza, detenuti e non ospiti, come invece il Govero continua a sostenere. Luoghi in cui il diritto e la dignità continuano ad essere caplestati e generano, com'è ovvio che sia, la protesta molte volte violenta contro la negazione del diritto.
Questo stando alla disponibilità espressa dall'attuale governo di transizione tunisino.
Per capire meglio quanto accaduto in questi giorni sull'isola di Lampedusa, non solo rispetto alla protesta scoppiata ma anche al rapporto tra fenomeno migratorio e libertà di informazione, risulta interessante la corrispondenza dall'isola del fotoreporter Alessio Genovese, pubblicata ieri sul blog di Fortresseurope. Genovese infatti parte dalla questione informazione per poi riportare la sua testimonianza del giorno di protesta, testimonianza che diverge, su alcuni punti, da quanto riportato su altre testate: “ Ce li avevano descritti come dei criminali, ex galeotti in fuga dalla Tunisia per non saldare i conti con la giustizia. Fino alla giornata di ieri erano numeri che si aggiungevano alle migliaia di immigrati in arrivo dal Nord Africa. Negli ultimi mesi governo e forze dell'ordine hanno tentato di vietarci di comunicare con loro. Il diritto di cronaca e di informazione si era arrestato davanti alle continue intimidazioni e agli ostacoli messi apposta tra i giornalisti e loro. Oggi fanno notizia, sono i 1300 tunisini detenuti speciali di un sistema che ha paura loro. Sono diventati per 24 ore i paladini del diritto d'informazione in questa Italia in cui tutti si arrendono alle circostanze troppo in fretta.” Inizia così la sua corrispondenza dalla piccola isola pelagia per concludersi con il volto e il nome di un uomo: “ Muhammed E. ha 48 anni. Ha vissuto e lavorato per 18 anni a Padova fino al giorno in cui si è infortunato sul lavoro. Dal '97 è in causa con la EDIL MET srl e il suo avvocato ha smesso di seguirlo dal 2001 quando andò in convalescenza in Tunisia. Per negligenza del datore di lavoro è caduto da una impalcatura e gli hanno asportato la milza e un testicolo. Veniva in Italia per riprendersi la sua vita. La notte prima, quando quei volti avevano un nome, ci aveva chiesto di potere parlare con un responsabile del Governo. Adesso Muhammad ha del sangue che gli esce dalla testa e ha gli occhi pieni di paura. Il suo sogno di una vita migliore in Italia muore a Lampedusa.”
Accanto al racconto di Genovese la cui lettura integrale potete trovare a questo link, è importante poi ricordare che le proteste all'interno dei Cie sono un fenomeno ormai costante divenuto ancora più allarmante in seguito al prolungamento dei tempi di trattenimento fino a 18 mesi ed al fenomeno del sovraffollamento che oltre a riguardare le carceri, riguarda anche questi luoghi di vera e propria detenzione. A questo proposito risulta interessante anche un'altra testimonianza, questa volta della deputata PD Sandra Zampa come riportata da Repubblica il 22 luglio di quest'anno, dopo le proteste scoppiate presso il Cie di Via Mattei a Bologna: “ E poi si chiedono perché diano fuoco ai materassi. E’ il solo modo che hanno per provare a farsi ascoltare, per sfogare la rabbia e la paura, per chiedere libertà e dignità”. Queste le parole usate dall'On.Zampa. E ancora più avanti: “ Il termine accoglienza non si può usare - sottolinea l’onorevole - perché le persone chiuse all’interno sono trattate come detenute".
Luoghi di detenzione e non di accoglienza, detenuti e non ospiti, come invece il Govero continua a sostenere. Luoghi in cui il diritto e la dignità continuano ad essere caplestati e generano, com'è ovvio che sia, la protesta molte volte violenta contro la negazione del diritto.
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