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Articolo 21 - Editoriali
ASGI: " Esclusione interperete con Hijab mina la libertà religiosa"
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di redazione*

*Riceviamo e di seguito pugbblichiamo il comunicato diramato dall'ASGI in seguito alla decisione da parte del Tribunale di Torino di escludere dall'aula giudiziaria l'interprete in lingua araba con il capo coperto.

La sezione torinese dell’ASGI esprime il proprio disappunto e sconcerto per la vicenda dell’esclusione dall’aula giudiziaria dell’interprete in lingua araba decisa nel corso di un’udienza tenutasi il 14 ottobre scorso davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Torino, in ragione del fatto che la donna indossava lo hijab, il velo tradizionale islamico che copre i capelli ed il collo, lasciando libero il volto.

Sebbene l’art. 129 del c.p.c. preveda che chi interviene o assiste in udienza debba stare a capo scoperto e prassi istituzionale vorrebbe che chi presenzia in udienza stia a capo scoperto a tutela del decoro e del rispetto dell’Autorità Giudiziaria sulla base anche dei poteri di disciplina dell’udienza attribuiti al giudice ai sensi dell’art. 470 c.p.p., l’ASGI ricorda che l’applicazione di tali norme deve trovare il limite del legittimo  rispetto del diritto fondamentale alla libertà religiosa e alla manifestazione del proprio credo religioso di cui all’art. 19 della Cost.  e all’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Inoltre, un‘ applicazione assoluta delle norme dei codici di procedura senza le dovute eccezioni per chi ritenga di rimanere  con il capo  coperto in ossequio alla propria fede religiosa (sia essa la suora cattolica, o l’ebreo ortodosso, o il sikh o la donna musulmana) o abbia altre legittime ragioni per farlo (si pensi alla persona sottoposta a chemioterapia) finirebbe per snaturare la stessa ratio della norma, esorbitando dalla sua funzione di assicurare il dovuto rispetto nei confronti della Corte per invece arrecare una lesione alla dignità della persona coinvolta. Inoltre,  l’applicazione generalizzata della norma,  senza possibilità di giustificate esenzioni,  nei confronti di  persone che svolgano  in udienza incarichi professionali tecnici quali quelli di interprete o verbalizzante, costituirebbe anche una forma di  “discriminazione indiretta” nell’esercizio dell’attività lavorativa, in quanto l’applicazione di un criterio apparentemente neutro (il capo scoperto) finirebbe per escludere dall’attività professionale persone appartenenti a minoranze religiose senza che ciò corrisponda ai requisiti di necessità e proporzionalità.

 
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