di Massimo Cerulo*
Protagonista suo malgrado, ha apostrofato un politico sintetizzando il pensiero di molti italiani. Antonello Pirrotto dalla Sardegna, di professione operaio e al momento in cassa integrazione, nel corso della trasmissione "Servizio pubblico" condotta da Michele Santoro, ha risposto in maniera dura e sintomatica all'onorevole leghista Castelli presente in studio. Quest'ultimo, colpito dalla preponderante eloquenza di quello che forse credeva incolto operaio, ha ben pensato di abbandonare lo studio e sottrarsi al pubblico confronto. Fin qui, uno scarno riassunto di un evento mediatico che ha caratterizzato la settimana appena trascorsa. Ma il punto che mi preme sottolineare è un altro. E riguarda proprio l'operaio sardo protagonista della fuga del Castelli. Avevo rivisto lo scambio di battute su youtube e, oltre che deprecare il comportamento del politico, avevo apprezzato il concetto espresso da Pirrotto qualche secondo dopo la risposta a Castelli. Si era infatti così espresso l'operaio sardo: "Voi siete colpevoli di un grave errore: avete rotto il patto generazionale, io sono in cassa integrazione contro i miei figli disoccupati". Nelle sue parole si percepiva l'esasperazione (perché per far arrivare un lavoratore e padre di famiglia a rivolgersi così, pubblicamente e in diretta tv, a un rappresentante istituzionale vuol dire che siamo giunti al punto di rottura), ma si scorgeva anche una lucidità estrema nel denunciare alcuni mali del mercato del lavoro e la crisi che attanaglia la società italiana. Comportamento non comune in chi non è abituato alle luci televisive e ai tranelli tessuti dai giornalisti intervistatori. La rottura del patto generazionale è, in effetti, uno dei punti nodali per comprendere la gravità della crisi in cui stiamo navigando. E sottolineare questo punto, dopo aver mandato a quel paese un politico in diretta nazionale, mi sembra degno di nota.
Ho ritrovato Antonello Pirrotto domenica pomeriggio, ospite di Lucia Annunziata nel suo "In mezz'ora". E ho avuto confermate le mie impressioni. L'operaio sardo non solo non si mostrava emozionato dal palcoscenico mediatico, ma evidenziava padronanza di concetti, prontezza di risposta, pacatezza (oltre a una discreta presenza scenica). Discuteva della situazione della sua impresa, del fatto che molti operai rischiano di perdere definitivamente il lavoro a causa di una ipotetica chiusura della stessa, paventava il rischio di una "anarchia istituzionale", in quanto il giorno dopo ben 23 sindaci sardi avrebbero rimesso la fascia tricolore come forma di protesta. E poi, perfettamente a suo agio nel rispondere per le rime alle latenti ipotesi di "divismo" avanzate dalla Annunziata, dichiarava:"Se questa pubblicità subita per la mia risposta a Castelli può essere positiva per veicolare la drammatica situazione di tutti i miei colleghi che rischiamo di restare senza lavoro, non mi tirerò indietro. Ma quello che io voglio è tornare a lavorare, non certo fare il sindacalista. Tornare a immergermi nella mia azienda di allumino. Scomparire nell'anonimato". Ecco: a differenza di molta gente che si nutre della spettacolarizzazione di questa crisi, cercando addirittura di lucrarci attraverso la mediaticità emozionale di crisi esistenziali (si pensi a talk show, rubriche di gossip, ecc.), tanti, tantissimi italiani non chiedono altro che il rispetto di un diritto. Il primo della costituzione italiana. La sacralità del lavoro. E la possibilità di detenerlo. E lasciano volentieri agli altri l'effimera eccitazione di apparizioni televisive o protagonismi mediatici. Spesso, come nel caso di Antonello Pirrotto ma anche come quelli degli autotrasportatori e dei pescatori calabresi che, in diretta da Rosarno, sono intervenuti sabato sera su LA7 nella trasmissione "In Onda", l'anonimato fa rima con dignità, serietà, etica del lavoro. Quelle caratteristiche che albergano nella stragrande maggioranza degli italiani che fanno l'Italia ogni giorno. In silenzio e nell'anonimato. Togliere diritti a queste persone, costringerle a esistenze giorno dopo giorno sempre più povere a causa di una crisi provocata dal comportamento e dalle azioni di altri soggetti ed entità, significa alzare la tensione sociale e soffiare nel vento della protesta. Non vorrei che scoprire i limiti di quest'ultima sia tra gli obiettivi dei nostri (poco) lungimiranti governanti.
* Sociologo – Università Della Calabria
cerulo@unical.it