Articolo 21 - Editoriali
Lo stato dellâarte delle persone LGBTQI in Italia
di Flaminia P. Mancinelli*
Da anni - ma potremmo dire, senza tema di essere smentiti, da “decenni – le persone LGBTQI vivono con sempre maggiore difficoltà la loro condizione esistenziale. Ciò è dovuto principalmente alla negazione di qualsivoglia diritto per loro da parte dello Stato italiano e delle Istituzioni. Questa situazione di Diritti negati (o “calpestati”) è ancora più violenta e crudele perché nella maggior parte degli altri Paesi industrializzati (ma non solo) le persone omosessuali hanno visto varare leggi ad hoc.
Se quindi nel mondo Occidentale (ma non solo) la condizione di omosessuale non è più un limite al riconoscimento di unioni matrimoniali o equipollenti, se in molti Stati (europei e non) l’essere omosessuale non è più considerato un limite all’adozione, alla formazione di un nucleo familiare, all’estensione di diritti quali la pensione, le assicurazioni e le cure sanitarie, qui da noi sembra che il tempo si sia fermato al Medioevo. Un Medioevo barbaro e buio, nel quale l’unica legge dominante sembra essere quella imposta, senza mezzi termini, dal Vaticano. A questo proposito occorrerebbe avere il tempo per fare una breve digressione, necessaria a distinguere tra l’operato delle classi dirigenti del Vaticano e i singoli rappresentanti del Cattolicesimo, sacerdoti e comuni prelati che sempre più spesso accolgono in seno alla loro comunità persone omosessuali, senza negare loro i sacramenti.
QUANTI SIAMO?
In una situazione come questa vi è la realtà di migliaia di persone omosessuali. Quanti siamo? Nessuno può dirlo se non citando statistiche che forniscono cifre per difetto, com’è naturale e scontato riguardo un simile argomento. Se le cifre delle indagini statistiche oscillano tra il 5 e il 10 per cento della popolazione è ovvio che il numero è molto più alto.
Ma se vogliamo anche applicare il solo 10% a una popolazione che al momento è intorno ai 60 milioni, ciò porta a dire che 6 milioni di cittadini italiani sono omosessuali. 6 milioni: una cifra che nessun Partito, in nessun tempo, si è mai sognato di avere come iscritti. Una forza elettorale in grado di cambiare leggi e codici. Perché non possiamo dimenticare che ognuno di questi 6 milioni ha al suo fianco amici e “simpatizzanti”, familiari e colleghi di lavoro, concretamente disponibili ad appoggiare la loro uguaglianza rispetto ai diritti di cittadinanza. 6 milioni? E la cifra rischia di essere molto più grande, ma…
Ma allora, vi starete chiedendo con me, come mai questa marea di persone non riesce a superare i veti imposti dal Vaticano e da tutti quei Politici che fanno comunella con i palazzi d’oltretevere? Cosa impedisce alle persone omosessuali di coalizzarsi in un Movimento e operare per il riconoscimento dei loro Diritti?
Come mai quando si parla di Movimento LGBTQI (comprendendo al suo interno anche Bisessuali, Transessuali o Transgender, Queer e Intersessuali) immediatamente si è costretti a definirlo “frammentario”, “diviso”, “rissoso”?
In America, a seguito dei moti di Stonewall, nacque il Movimento omo/transessuale era il lontanissimo 1969. Era il 28 giugno e quella data fu quindi usata per ricordare la giornata mondiale dell'orgoglio LGBT o "Gay Pride".
In Italia fu il F.U.O.R.I. a dar vita, solo nel 1972 a Sanremo (durante un congresso di psichiatri sulle “devianze sessuali” cfr. nostro articolo), a una manifestazione pubblica per i diritti di persone omo/transessuali. Bisognerà però attendere il 1994 per veder svolgere, a Roma, il primo Gay Pride nazionale ufficiale. A questo evento si giunse però dopo un “difficile accordo” tra le due maggiori associazioni allora esistenti: Arcigay e Mario Mieli.
“Difficile accordo”: fin dai suoi esordi il tentativo di dar vita a un Movimento LGBTQI si trovò a fare i conti con impedimenti e problematicità, anche per organizzare una giornata di festa, nella quale presentarsi al “mondo altro” come un gruppo “orgoglioso del suo essere”.
C’è da precisare che all’estero non erano tutte rose e fiori, che anche negli States (patria morale del Movimento e della rivendicazione dei Diritti) le lacerazioni e gli scontri, tra appartenenti a diverse associazioni, gruppi, collettivi erano (e sono) all’ordine del giorno, ma questo fa parte della realtà stessa: essere omo/transessuale, avere delle preferenze sessuali che si distaccano dalla logica binaria maschio-femmina, o trovare una rispondenza di genere differente a quella del genere biologico della nascita NON significa pensarla allo stesso modo su tutto il resto della vita…
Ed è questo il punto sul quale la comprensione - non solo di chi è esterno alla tematica LGBTQI - spesso fatica, stenta, si perde. Nel tentativo di “globalizzare” le persone LGBTQI alcuni (molti) immaginano che essere gay significhi - indistintamente per tutti - amare vestirsi di rosa e lilla, steccare, ancheggiare ed essere “terribilmente” effemminati, nonché naturalmente avere idee politiche di Sinistra. Certo “globalizzare” un giudizio, frullare tutto per bene, semplifica…
Ma porta lontano dalla realtà.
Un gay è un essere di sesso maschile che si innamora e ama fare attività sessuali con un altro uomo: diciamo che – grossolanamente – questa è una “definizione” che potrebbe calzare a gran parte degli uomini gay, ma questo non porta a nient’altro, non ha ramificazioni dirette e logiche con altri “gusti” o “preferenze”, con il suo modo di ragionare, con il suo approccio morale ed esistenziale alla vita. L’affettività e le pratiche sono sì importanti, ma non sono TUTTA la vita di una persona.
Se si comprende questo piccolo (grande) assioma, si capirà anche perché è così difficile per le persone LGBTQI riconoscersi in un Movimento UNITARIO.
Ma la “difficoltà” – secondo noi – non è sinonimo di IMPOSSIBILITA’ , come invece succede in Italia, e in special modo a ROMA, DA SEMPRE.
UNITI NELLE DIFFERENZE
In questi decenni abbiamo visto all’estero le persone dei Movimenti LGBTQI dar vita a Movimenti unitari o a Federazioni che avevano lo scopo di porsi come UNICI interlocutori nei confronti di Istituzioni e Governi, con l’obiettivo di ottenere per tutte le persone LGBTQI il riconoscimento di Diritti civili. Ogni Associazione è stata capace di mettere da parte le proprie differenze peculiari e di cercare di amplificare ciò poteva accomunarla con le altre.
Fare questo SFORZO ha portato i suoi frutti, maggiori Diritti (e in certi casi) equiparazione totale di Diritti per le persone LGBTQI rispetto alle persone che la legislazione definisce “etero”.
E in Italia?
Il Gay Pride, nel nostro Paese, rappresenta l’unico momento di unità per le persone LGBTQI che, sotto le bandiere delle Associazioni o come “battitori liberi”, scendono in piazza a manifestare il loro orgoglio di essere lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, queer e intersessuali. Ma…
Ma questo “benedetto” Gay Pride è una manifestazione che per sua natura coinvolge migliaia di persone e quindi necessita di un’organizzazione capillare, di risorse umane ed economiche non indifferenti.
Dal “difficile accordo” tra Arcigay e Mario Mieli del 1994, nulla o quasi è stato fatto per dare forma a un’organizzazione unitaria del Pride. Così per anni.
Poi – fortunatamente – a Torino, a Milano e a Genova qualcosa è cominciato a cambiare, in queste importanti città del norditalia sono nati dei “Coordinamenti” per l’organizzazione unitaria dei Pride.
E a Roma?
Bisogna ricordare, per inciso, che il Pride di Roma – anche quando non è stato eletto Pride nazionale – ha sempre “valenza nazionale”, ed è ovvio immaginarne la ragione visto che ha Roma hanno sede i Poteri di questo nostro Stato, e cioè Parlamento e Vaticano.
A Roma la storia recente degli ultimi anni ci dà conto del celebre “strappo” del 2010, quando un gruppo di Associazioni a livello cittadino (Arcigay Roma, Dì Gay Project, Azione Trans e Gay Lib, in prima linea, ma spalleggiate da altre) prese in carico l’organizzazione del Gay Pride di Roma di quell’anno “strappandolo” alla consueta gestione del Mario Mieli.
Le riunioni si tennero su un terreno neutro, quello di una libreria romana, e furono aperte alla partecipazione di tutti, anche di persone singole, non appartenenti ad associazioni. Successivamente, parlando di quel Pride con persone di altre città, scoprii con mia sorpresa che “quello strappo” era considerato un atto politico estremamente significativo, perché nell’interpretazione di questi “osservatori” poteva rappresentare il primo segnale di una volontà di cambiamento anche tra le associazioni e le persone LGBTQI della Capitale.
Lo “strappo” del 2010, a seguire la cronaca di quei giorni e dei mesi successivi, non fu accolto da tutti con la stessa impressione positiva, anzi… dimostrò la crescita della lacerazione insita nel Movimento LGBTQI italiano. Si aprirono faide che dal mondo reale proseguirono sui social network, spezzando amicizie decennali, conoscenze fraterne, con una violenza inimmaginabile tra persone appartenenti alla cosiddetta “razza superiore” dell’umana specie.
Mostrare atteggiamenti “amicali” verso alcuni significava la radiazione immediata dal “circolo” di altri, e così via.
In questa situazione piombò l’assegnazione, e il successivo svolgimento, dell’Europride 2011 che – non senza difficoltà – fu gestito dal Mario Mieli e dall’Arcigay nazionale. Si svolse a Roma, ma senza che nel comitato organizzativo fosse inclusa l’Arcigay romana, dimostrando – se possibile – un ulteriore stato di frammentazione e divisione sviluppatasi all’interno della stessa Arcigay.
ROMA PRIDE 2012
E quest’anno? Cosa succederà per l’organizzazione del Gay Pride di Roma 2012?
I prodromi di quanto accade in questi giorni, devono essere collocati ai giorni immediatamente successivi al Gay Pride di Roma 2010, quando le associazioni - che si erano occupate di organizzare quella manifestazione – diedero vita al Coordinamento Roma Pride.
Visto che nell’immediato futuro non vi era nessun Pride di Roma da coordinare nessuno spese tempo o energie ad “attaccare” o a “considerare” tale libera associazione, neppure quando gli organizzatori dell’Europride di Roma rifiutarono loro ogni coinvolgimento nella manifestazione, qualcuno ritenne necessario guardare con più attenzione a questo Coordinamento Roma Pride.
Detto Coordinamento, però, in vista del Roma Pride 2012 ha dato vita a una serie di riunioni, che la CGIL di Roma ha ospitato nei suoi locali, per discutere modi e contenuti della futura manifestazione. L’invito alle riunioni (ce ne sono state già tre) è stato esteso a tutte le Associazioni LGBTQI romane ma anche a singoli “battitori liberi” interessati al tema.
Ma mentre i primi due incontri si erano consumati seguendo il solito copione di insulti e lacerazioni verbali, portati avanti su social network e blog, il terzo incontro (tenutosi sabato 10 marzo 2012) ha scatenato “lacrime e sangue” e non solo a livello virtuale.
Le reazioni e i comunicati stampa che ci sono pervenuti sono pubblicati da oggi su un’apposita sezione di Pianeta Queer a disposizione di chiunque voglia prenderne visione (resta stabilito che possono essere integrati e ampliati da chiunque in qualsiasi momento, semplicemente inviando il materiale a info@pianetaqueer.it).
Cosa sarà del Roma Pride 2012?
Quali Associazioni e/o gruppi si faranno carico di gestire l’organizzazione del più significativo Pride italiano?
Mentre il Parlamento europeo ha invitato, per l’ennesima volta e senza possibilità di fraintendimento, i Governi a non dare “definizioni restrittive di famiglia” con l'obiettivo di negare i diritti alle coppie omosessuali e ai loro figli, in Italia, a Roma cosa succederà?
Cosa faranno le Associazioni LGBTQI della Capitale per rivendicare i Diritti Calpestati delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, queer e intersessuali di questo Paese?
FEDERAZIONE DELLE ASSOCIANI LGBTQI
Nessuno, allo stato delle cose, è in grado di rispondere con certezza a queste domande, ma consentitemi di esprimere un mio desiderio a riguardo che, se volete, è anche un’opinione sul tentativo portato avanti dal Coordinamento Roma Pride in queste settimane.
Da anni, insieme con un amico italo-spagnolo porto avanti il sogno di veder confluire le associazioni LGBTQI italiane in una Federazione. Non vi è nulla di “perfetto” nel modello spagnolo, ma si sa che ogni cosa umana è perfettibile di miglioramenti…
Non mi accontento degli sforzi portati avanti sinora dai vari Poto o Allegrezza, mi tolgo tanto di cappello al loro impegno in tempo ed energie, ma chiedo di più.
D'altra parte non sono disposta ad accettare le critiche sterili di "altri", critiche fatte con un fine meramente distruttivo, per gettare discredito sull’iniziativa del CRP.
Io non mi considero "di parte", mai. Sono una gran rompicoglioni, che è interessata a salvaguardare gli interessi dei singoli rispetto a quelli delle Associazioni. Sempre. Così, in quanto persona "fuori dal coro" non godo degli appoggi di nessuno, e non ho nessuno da ingraziarmi. Ho simpatia e antipatie, persone che proprio "nun te regghe più" e nemiche/ci giurati... Come tutti noi. Per carattere non mando giù i rospi e non sono affatto diplomatica, per me se una/o è stronza/o lo è fino a prova contraria, se una/o strumentalizza il suo attivismo nel Movimento LGBTQI per arricchirsi privatamente, per acquisire potere, codesta persona non mi vedrà mai scendere a compromessi, mi spiace. Sono una persona estranea ai clientelismi romani, ma proprio per questo mi permetto di dichiarare che il mio giudizio è trasparente. Tutto ciò, ovviamente, nei limiti delle mie capacità. Ma proprio per questo io chiedo a tutti "gli attori" LGBTQI romani, a simpatizzanti e sostenitori critiche e suggerimenti: continui, assillanti e senza tregua, non chiedo sconti, di nessun genere. Ma...
Ma non accetto che ci si nasconda dietro le tesi di un inarrivabile perfezionismo per gettare a mare l’unica azione mai intrapresa per dare unità alle persone LGBTQI di questo Paese. Detesto il Pride – chi mi conosce lo sa bene – perché come tutte le “americanate” la trovo una manifestazione povera di contenuti culturali e politici, estemporanea e sempre troppo presto archiviata dalle menti della gente comune e dai commenti dei mass media. Dura l’espace du matin, ma…
Ma se unire le persone LGBTQI per gestire un Pride può servire a dare unità a questo nostro Movimento frammentato e rissoso, se grazie alla gestione di un Pride si può dar vita a una Federazione, di Associazioni ma anche di Singoli, in grado di andare a colloquiare con Istituzioni e Governo, allora ben venga anche la manifestazione del Pride, e soprattutto ben vengano le iniziative come quella messa in cantiere dal Coordinamento Roma Pride, un tentativo – perfettibile – di dare unità a ciò che dovrebbe rappresentare agli occhi delle Istituzioni il nostro diritto di essere, di amare.
P.S.
E magari "dopo" potremmo anche provare a costruire/organizzare un Pride lungo 365 giorni, che abbia spessore culturale, oltreché politico, che sia in grado con la sua presenza costante sul territorio di essere un punto di riferimento reale per giovani LGBTQI - ma non solo - in difficoltà... Un sogno, in questo stato dell'arte.
*www.pianetaqueer.it
Se quindi nel mondo Occidentale (ma non solo) la condizione di omosessuale non è più un limite al riconoscimento di unioni matrimoniali o equipollenti, se in molti Stati (europei e non) l’essere omosessuale non è più considerato un limite all’adozione, alla formazione di un nucleo familiare, all’estensione di diritti quali la pensione, le assicurazioni e le cure sanitarie, qui da noi sembra che il tempo si sia fermato al Medioevo. Un Medioevo barbaro e buio, nel quale l’unica legge dominante sembra essere quella imposta, senza mezzi termini, dal Vaticano. A questo proposito occorrerebbe avere il tempo per fare una breve digressione, necessaria a distinguere tra l’operato delle classi dirigenti del Vaticano e i singoli rappresentanti del Cattolicesimo, sacerdoti e comuni prelati che sempre più spesso accolgono in seno alla loro comunità persone omosessuali, senza negare loro i sacramenti.
QUANTI SIAMO?
In una situazione come questa vi è la realtà di migliaia di persone omosessuali. Quanti siamo? Nessuno può dirlo se non citando statistiche che forniscono cifre per difetto, com’è naturale e scontato riguardo un simile argomento. Se le cifre delle indagini statistiche oscillano tra il 5 e il 10 per cento della popolazione è ovvio che il numero è molto più alto.
Ma se vogliamo anche applicare il solo 10% a una popolazione che al momento è intorno ai 60 milioni, ciò porta a dire che 6 milioni di cittadini italiani sono omosessuali. 6 milioni: una cifra che nessun Partito, in nessun tempo, si è mai sognato di avere come iscritti. Una forza elettorale in grado di cambiare leggi e codici. Perché non possiamo dimenticare che ognuno di questi 6 milioni ha al suo fianco amici e “simpatizzanti”, familiari e colleghi di lavoro, concretamente disponibili ad appoggiare la loro uguaglianza rispetto ai diritti di cittadinanza. 6 milioni? E la cifra rischia di essere molto più grande, ma…
Ma allora, vi starete chiedendo con me, come mai questa marea di persone non riesce a superare i veti imposti dal Vaticano e da tutti quei Politici che fanno comunella con i palazzi d’oltretevere? Cosa impedisce alle persone omosessuali di coalizzarsi in un Movimento e operare per il riconoscimento dei loro Diritti?
Come mai quando si parla di Movimento LGBTQI (comprendendo al suo interno anche Bisessuali, Transessuali o Transgender, Queer e Intersessuali) immediatamente si è costretti a definirlo “frammentario”, “diviso”, “rissoso”?
In America, a seguito dei moti di Stonewall, nacque il Movimento omo/transessuale era il lontanissimo 1969. Era il 28 giugno e quella data fu quindi usata per ricordare la giornata mondiale dell'orgoglio LGBT o "Gay Pride".
In Italia fu il F.U.O.R.I. a dar vita, solo nel 1972 a Sanremo (durante un congresso di psichiatri sulle “devianze sessuali” cfr. nostro articolo), a una manifestazione pubblica per i diritti di persone omo/transessuali. Bisognerà però attendere il 1994 per veder svolgere, a Roma, il primo Gay Pride nazionale ufficiale. A questo evento si giunse però dopo un “difficile accordo” tra le due maggiori associazioni allora esistenti: Arcigay e Mario Mieli.
“Difficile accordo”: fin dai suoi esordi il tentativo di dar vita a un Movimento LGBTQI si trovò a fare i conti con impedimenti e problematicità, anche per organizzare una giornata di festa, nella quale presentarsi al “mondo altro” come un gruppo “orgoglioso del suo essere”.
C’è da precisare che all’estero non erano tutte rose e fiori, che anche negli States (patria morale del Movimento e della rivendicazione dei Diritti) le lacerazioni e gli scontri, tra appartenenti a diverse associazioni, gruppi, collettivi erano (e sono) all’ordine del giorno, ma questo fa parte della realtà stessa: essere omo/transessuale, avere delle preferenze sessuali che si distaccano dalla logica binaria maschio-femmina, o trovare una rispondenza di genere differente a quella del genere biologico della nascita NON significa pensarla allo stesso modo su tutto il resto della vita…
Ed è questo il punto sul quale la comprensione - non solo di chi è esterno alla tematica LGBTQI - spesso fatica, stenta, si perde. Nel tentativo di “globalizzare” le persone LGBTQI alcuni (molti) immaginano che essere gay significhi - indistintamente per tutti - amare vestirsi di rosa e lilla, steccare, ancheggiare ed essere “terribilmente” effemminati, nonché naturalmente avere idee politiche di Sinistra. Certo “globalizzare” un giudizio, frullare tutto per bene, semplifica…
Ma porta lontano dalla realtà.
Un gay è un essere di sesso maschile che si innamora e ama fare attività sessuali con un altro uomo: diciamo che – grossolanamente – questa è una “definizione” che potrebbe calzare a gran parte degli uomini gay, ma questo non porta a nient’altro, non ha ramificazioni dirette e logiche con altri “gusti” o “preferenze”, con il suo modo di ragionare, con il suo approccio morale ed esistenziale alla vita. L’affettività e le pratiche sono sì importanti, ma non sono TUTTA la vita di una persona.
Se si comprende questo piccolo (grande) assioma, si capirà anche perché è così difficile per le persone LGBTQI riconoscersi in un Movimento UNITARIO.
Ma la “difficoltà” – secondo noi – non è sinonimo di IMPOSSIBILITA’ , come invece succede in Italia, e in special modo a ROMA, DA SEMPRE.
UNITI NELLE DIFFERENZE
In questi decenni abbiamo visto all’estero le persone dei Movimenti LGBTQI dar vita a Movimenti unitari o a Federazioni che avevano lo scopo di porsi come UNICI interlocutori nei confronti di Istituzioni e Governi, con l’obiettivo di ottenere per tutte le persone LGBTQI il riconoscimento di Diritti civili. Ogni Associazione è stata capace di mettere da parte le proprie differenze peculiari e di cercare di amplificare ciò poteva accomunarla con le altre.
Fare questo SFORZO ha portato i suoi frutti, maggiori Diritti (e in certi casi) equiparazione totale di Diritti per le persone LGBTQI rispetto alle persone che la legislazione definisce “etero”.
E in Italia?
Il Gay Pride, nel nostro Paese, rappresenta l’unico momento di unità per le persone LGBTQI che, sotto le bandiere delle Associazioni o come “battitori liberi”, scendono in piazza a manifestare il loro orgoglio di essere lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, queer e intersessuali. Ma…
Ma questo “benedetto” Gay Pride è una manifestazione che per sua natura coinvolge migliaia di persone e quindi necessita di un’organizzazione capillare, di risorse umane ed economiche non indifferenti.
Dal “difficile accordo” tra Arcigay e Mario Mieli del 1994, nulla o quasi è stato fatto per dare forma a un’organizzazione unitaria del Pride. Così per anni.
Poi – fortunatamente – a Torino, a Milano e a Genova qualcosa è cominciato a cambiare, in queste importanti città del norditalia sono nati dei “Coordinamenti” per l’organizzazione unitaria dei Pride.
E a Roma?
Bisogna ricordare, per inciso, che il Pride di Roma – anche quando non è stato eletto Pride nazionale – ha sempre “valenza nazionale”, ed è ovvio immaginarne la ragione visto che ha Roma hanno sede i Poteri di questo nostro Stato, e cioè Parlamento e Vaticano.
A Roma la storia recente degli ultimi anni ci dà conto del celebre “strappo” del 2010, quando un gruppo di Associazioni a livello cittadino (Arcigay Roma, Dì Gay Project, Azione Trans e Gay Lib, in prima linea, ma spalleggiate da altre) prese in carico l’organizzazione del Gay Pride di Roma di quell’anno “strappandolo” alla consueta gestione del Mario Mieli.
Le riunioni si tennero su un terreno neutro, quello di una libreria romana, e furono aperte alla partecipazione di tutti, anche di persone singole, non appartenenti ad associazioni. Successivamente, parlando di quel Pride con persone di altre città, scoprii con mia sorpresa che “quello strappo” era considerato un atto politico estremamente significativo, perché nell’interpretazione di questi “osservatori” poteva rappresentare il primo segnale di una volontà di cambiamento anche tra le associazioni e le persone LGBTQI della Capitale.
Lo “strappo” del 2010, a seguire la cronaca di quei giorni e dei mesi successivi, non fu accolto da tutti con la stessa impressione positiva, anzi… dimostrò la crescita della lacerazione insita nel Movimento LGBTQI italiano. Si aprirono faide che dal mondo reale proseguirono sui social network, spezzando amicizie decennali, conoscenze fraterne, con una violenza inimmaginabile tra persone appartenenti alla cosiddetta “razza superiore” dell’umana specie.
Mostrare atteggiamenti “amicali” verso alcuni significava la radiazione immediata dal “circolo” di altri, e così via.
In questa situazione piombò l’assegnazione, e il successivo svolgimento, dell’Europride 2011 che – non senza difficoltà – fu gestito dal Mario Mieli e dall’Arcigay nazionale. Si svolse a Roma, ma senza che nel comitato organizzativo fosse inclusa l’Arcigay romana, dimostrando – se possibile – un ulteriore stato di frammentazione e divisione sviluppatasi all’interno della stessa Arcigay.
ROMA PRIDE 2012
E quest’anno? Cosa succederà per l’organizzazione del Gay Pride di Roma 2012?
I prodromi di quanto accade in questi giorni, devono essere collocati ai giorni immediatamente successivi al Gay Pride di Roma 2010, quando le associazioni - che si erano occupate di organizzare quella manifestazione – diedero vita al Coordinamento Roma Pride.
Visto che nell’immediato futuro non vi era nessun Pride di Roma da coordinare nessuno spese tempo o energie ad “attaccare” o a “considerare” tale libera associazione, neppure quando gli organizzatori dell’Europride di Roma rifiutarono loro ogni coinvolgimento nella manifestazione, qualcuno ritenne necessario guardare con più attenzione a questo Coordinamento Roma Pride.
Detto Coordinamento, però, in vista del Roma Pride 2012 ha dato vita a una serie di riunioni, che la CGIL di Roma ha ospitato nei suoi locali, per discutere modi e contenuti della futura manifestazione. L’invito alle riunioni (ce ne sono state già tre) è stato esteso a tutte le Associazioni LGBTQI romane ma anche a singoli “battitori liberi” interessati al tema.
Ma mentre i primi due incontri si erano consumati seguendo il solito copione di insulti e lacerazioni verbali, portati avanti su social network e blog, il terzo incontro (tenutosi sabato 10 marzo 2012) ha scatenato “lacrime e sangue” e non solo a livello virtuale.
Le reazioni e i comunicati stampa che ci sono pervenuti sono pubblicati da oggi su un’apposita sezione di Pianeta Queer a disposizione di chiunque voglia prenderne visione (resta stabilito che possono essere integrati e ampliati da chiunque in qualsiasi momento, semplicemente inviando il materiale a info@pianetaqueer.it).
Cosa sarà del Roma Pride 2012?
Quali Associazioni e/o gruppi si faranno carico di gestire l’organizzazione del più significativo Pride italiano?
Mentre il Parlamento europeo ha invitato, per l’ennesima volta e senza possibilità di fraintendimento, i Governi a non dare “definizioni restrittive di famiglia” con l'obiettivo di negare i diritti alle coppie omosessuali e ai loro figli, in Italia, a Roma cosa succederà?
Cosa faranno le Associazioni LGBTQI della Capitale per rivendicare i Diritti Calpestati delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, queer e intersessuali di questo Paese?
FEDERAZIONE DELLE ASSOCIANI LGBTQI
Nessuno, allo stato delle cose, è in grado di rispondere con certezza a queste domande, ma consentitemi di esprimere un mio desiderio a riguardo che, se volete, è anche un’opinione sul tentativo portato avanti dal Coordinamento Roma Pride in queste settimane.
Da anni, insieme con un amico italo-spagnolo porto avanti il sogno di veder confluire le associazioni LGBTQI italiane in una Federazione. Non vi è nulla di “perfetto” nel modello spagnolo, ma si sa che ogni cosa umana è perfettibile di miglioramenti…
Non mi accontento degli sforzi portati avanti sinora dai vari Poto o Allegrezza, mi tolgo tanto di cappello al loro impegno in tempo ed energie, ma chiedo di più.
D'altra parte non sono disposta ad accettare le critiche sterili di "altri", critiche fatte con un fine meramente distruttivo, per gettare discredito sull’iniziativa del CRP.
Io non mi considero "di parte", mai. Sono una gran rompicoglioni, che è interessata a salvaguardare gli interessi dei singoli rispetto a quelli delle Associazioni. Sempre. Così, in quanto persona "fuori dal coro" non godo degli appoggi di nessuno, e non ho nessuno da ingraziarmi. Ho simpatia e antipatie, persone che proprio "nun te regghe più" e nemiche/ci giurati... Come tutti noi. Per carattere non mando giù i rospi e non sono affatto diplomatica, per me se una/o è stronza/o lo è fino a prova contraria, se una/o strumentalizza il suo attivismo nel Movimento LGBTQI per arricchirsi privatamente, per acquisire potere, codesta persona non mi vedrà mai scendere a compromessi, mi spiace. Sono una persona estranea ai clientelismi romani, ma proprio per questo mi permetto di dichiarare che il mio giudizio è trasparente. Tutto ciò, ovviamente, nei limiti delle mie capacità. Ma proprio per questo io chiedo a tutti "gli attori" LGBTQI romani, a simpatizzanti e sostenitori critiche e suggerimenti: continui, assillanti e senza tregua, non chiedo sconti, di nessun genere. Ma...
Ma non accetto che ci si nasconda dietro le tesi di un inarrivabile perfezionismo per gettare a mare l’unica azione mai intrapresa per dare unità alle persone LGBTQI di questo Paese. Detesto il Pride – chi mi conosce lo sa bene – perché come tutte le “americanate” la trovo una manifestazione povera di contenuti culturali e politici, estemporanea e sempre troppo presto archiviata dalle menti della gente comune e dai commenti dei mass media. Dura l’espace du matin, ma…
Ma se unire le persone LGBTQI per gestire un Pride può servire a dare unità a questo nostro Movimento frammentato e rissoso, se grazie alla gestione di un Pride si può dar vita a una Federazione, di Associazioni ma anche di Singoli, in grado di andare a colloquiare con Istituzioni e Governo, allora ben venga anche la manifestazione del Pride, e soprattutto ben vengano le iniziative come quella messa in cantiere dal Coordinamento Roma Pride, un tentativo – perfettibile – di dare unità a ciò che dovrebbe rappresentare agli occhi delle Istituzioni il nostro diritto di essere, di amare.
P.S.
E magari "dopo" potremmo anche provare a costruire/organizzare un Pride lungo 365 giorni, che abbia spessore culturale, oltreché politico, che sia in grado con la sua presenza costante sul territorio di essere un punto di riferimento reale per giovani LGBTQI - ma non solo - in difficoltà... Un sogno, in questo stato dell'arte.
*www.pianetaqueer.it
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