di Amalia Schirru
Difficile descrivere lo stato d’animo dopo una tragedia simile. Difficile persino esprimersi contenendo la rabbia che queste morti provocano.
Scorrono vive le parole dell’operaio nel film-documentario del regista leccese Massimiliano Mazzotta “OIL: il potere e la dignità dei sardi”, che con un velo di rassegnazione e rabbia afferma: “Si va al ribasso: la manodopera costa meno, turni massacranti e la sicurezza... ciao!”. Come non rievocare queste parole? Come non ripensarci dopo quanto accaduto nello stabilimento sardo?
È naturale parlare di “stress organizzativo” del sistema, di possibili deficit di comunicazione e raccordo, mancanze conseguenti a una fermata per manutenzione degli impianti prevista inizialmente per sei, sette mesi e rimodulata in soli 45 giorni a causa della crisi. Con una tale compressione delle ore di lavoro e con un transito di migliaia di operai negli impianti, è quanto mai doveroso aumentare i livelli di attenzione, ed è statisticamente più probabile che in una condizione del genere si possano verificare degli incidenti. È per questo motivo che devono essere intensificati i controlli e che ci sia maggiore raccordo tra i livelli di lavoro diretti e quelli appaltati, in modo da non permettere libere iniziative da parte dei lavoratori che pregiudicano la sicurezza e la salute degli stessi e di chi vive lì intorno. Si sostiene che in questo caso tragico non ci fosse l’autorizzazione ad operare nella cisterna, che non fosse ancora stata bonificata. Allora tutti ci chiediamo perché questi lavoratori, senza il minimo delle misure di protezione e senza alcuna sicurezza, abbiano iniziato il lavoro. Hanno confuso o avuto indicazioni errate sul silo su cui intervenire?
Oppure è stata la voglia di fare, di sbrigare al più presto un’operazione che richiede fatica e sudore in un ambiente chiuso, soffocante e poco agevole come una cisterna? O è intervenuto il desiderio di dimostrare quell’attaccamento al lavoro che avrebbe potuto portare al tanto aspirato premio della stabilità dopo 9 lunghi anni di precariato?
Temo che nonostante il lavoro già iniziato dalla magistratura e la richiesta dei lavoratori e degli stessi datori di lavoro di conoscere le dinamiche dell’incidente, non avremo mai una risposta precisa e difficilmente saranno accertate le vere responsabilità. Per questo abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare indirizzata al Ministro del Lavoro, nella quale consapevoli delle troppe ‘morti bianche’ negli ultimi anni, ci dichiariamo preoccupati soprattutto per le annunciate modifiche al testo unico sulla sicurezza e chiediamo invece sanzioni onerose, maggiori controlli nei luoghi di lavoro con una pubblicizzazione esemplare dei risultati dei controlli eseguiti e delle irregolarità riscontrate.
Come sostengono il sindacato, le Regioni e le altre organizzazioni, tra cui l’Ance, occorre riflettere prima di rimettere mano ad una legge come la 81/08, approvata da solo un anno e non ancora interamente applicata. Il Ministro farebbe bene a sospendere la proposta di modifica dell’81 e aprire invece un dibattito serio in Parlamento e fuori, con i veri referenti della materia sicurezza, con i lavoratori e gli addetti responsabili, i professionisti che elaborano i piani di sicurezza, i preposti al controllo delle procedure, dei comportamenti, delle attrezzature. Coloro che studiano le misure e le pratiche per salvaguardare la salute sul lavoro ed evitare i rischi, i tecnici della prevenzione e i responsabili dei servizi delle Asl, gli ispettori degli uffici del lavoro e dell’Inail. Un dialogo vero tra il legislatore e tutti coloro i quali, quotidianamente, toccano con mano le difficoltà e si impegnano per ottenere un lavoro sicuro, salubre, rispettoso dell’ambiente e soddisfacente.
Un lavoro di cui, soprattutto, non morire.
Il territorio di Sarroch: lo scempio ambientale, l’inestricabile labirinto di tubi, le colonne rosse e bianche che svettano imponenti sulla baia, le cisterne. Non si può nascondere che a Sarroch difficilmente si muore di vecchiaia e che file intere di loculi nei cimiteri appartengono alle vittime del cancro. Non si può non pensare che gli incidenti, tragici sul lavoro siano dovuti anche alla qualità della vita che i lavoratori conducono quotidianamente, all’aria che si respira, ai ritmi di lavoro, ai turni, alla pendolarità. Soprattutto per quei tantissimi lavoratori delle ditte esterne, gli ‘stagionali’ delle torride estati sarde, chiamati solo nei periodi di manutenzione quando i lavori più pericolosi ed usuranti debbono essere eseguiti, e rapidamente.
Ma questo lavoro, pur usurante e faticoso, pur altamente impattante sul quotidiano, sull’ambiente e sulla qualità di vita, viene spesso sentito come l’unica risorsa possibile per il territorio e i suoi abitanti. Nel film Oil si dà voce a questa riflessione, parla chi subisce in cambio di un lavoro, chi scende a compromessi sui propri diritti costretto dal bisogno di uno stipendio, chi conserva la sua dignità di fronte alla malattia, chi lotta strenuamente con la stessa dignità e testardaggine affinché quei diritti vengano tutelati e affermati.
I cittadini sono consapevoli dei rischi per la salute legati al vivere in prossimità di un’area industriale contaminata, ma allo stesso tempo ritengono che la situazione ambientale della zona possa migliorare.
I cittadini sanno. Ma non raccontano. È un popolo consapevole, orgoglioso, ma schivo. Forse il ricatto del lavoro, l’irrinunciabile bisogno di lavoro è sufficiente perché si stia zitti.
A fronte di tante preoccupazioni, la maggior parte di loro non mette in discussione la presenza delle industrie, purché le emissioni siano ridotte e tenute strettamente sotto controllo. È per questo che i cittadini dovrebbero essere maggiormente coinvolti nelle scelte politiche dell’amministrazione e si dovrebbero mettere loro a disposizione in modo chiaro e comprensibile i dati ambientali e sanitari.
Invece la disinformazione impera e i riflettori sul problema si accendono solo per poco, solo davanti agli incidenti, quando non si può non sentire il suono della sirena d’allarme, o peggio ancora come in questo caso, davanti a delle vite spezzate. Passato il clamore, si pensa che gli incidenti, i tumori, i morti siano un prezzo da pagare, purché si continui a lavorare. Che non si possa pretendere che le regole sulla sicurezza vengano sempre rispettate o che esistano adeguate strutture mediche per i necessari controlli medici.
La tutela della salute, eccp un altro aspetto fondamentale: come mai, mi chiedo, non esistono presidi sanitari stabili all’interno della struttura, dove sia possibile non solo effettuare le visite mediche di controllo per tutti, non solo per i dipendenti Saras, ma anche interventi di primo soccorso direttamente in loco? Perché, viste anche le carenze nelle infrastrutture e nei collegamenti non ci si è dotati di un eliporto?
Arianoa è un'associazione sarrochese che raggruppa un centinaio di persone tra lavoratori ed abitanti. Non vogliono che la Saras chiuda i battenti, ma vorrebbero che fosse stimolato il dibattito e la presa di coscienza dei concittadini. La loro principale rivendicazione è la sicurezza e il diritto a vivere in un ambiente monitorato e possibilmente salubre. Alla luce di quanto successo, come dargli torto?
Educare e sensibilizzare la cittadinanza e i lavoratori per far si che si crei coscienza critica, democratica, autonoma, insieme a una cultura della sicurezza e della salute. Permettere lo sviluppo di tutto questo significa costringere il Governo nazionale, regionale e le amministrazioni locali ad inserire in agenda le questioni che riguardano la vita reale della gente.
Lo sosteneva con parole nette don Milani: “A cosa serve gridare di avere le mani pulite se poi le si tiene in tasca?”
La politica deve riprendere ad impegnarsi sulle questioni urgenti e dirimenti per il paese dialogando con il cittadino e a sua volta informandosi, senza governare sull’approssimazione e l’urgenza, senza farlo “di pancia”, ma usando la testa.
Bisogna rispondere agli attacchi al testo unico sulla sicurezza, denunciando non solo i tentativi ripetuti e colpevoli di smantellamento dell’impianto della norma, ma rivendicandone fermamente e con forza i contenuti e l’applicazione.
Dobbiamo opporci con determinazione alla riduzione delle sanzioni, alle norme salva manager, previste dal testo correttivo al decreto legislativo n. 81/2008.
Teniamo ben chiara in mente l’immagine di Patrizia, che una famiglia se la voleva costruire e che oggi è vedova prima di essere diventata moglie. Impegnamoci concretamente per mettere definitivamente la parola fine a queste stragi. Per dire basta alle operazioni di facciata, ai minuti di silenzio colpevoli, quando si hanno tutti gli strumenti per sconfiggere questo flagello di morti.