di Domenico Mazzullo*
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento dello psichiatra Domenico Mazzullo, Specialista tra l'altro dell'associazione Ettasos presieduta dalla nostra collaboratrice Tove K. Hornelius. La riflessione di Mazzullo è molto dura, ma fotografa in modo lucido e condivisibile la società attuale e il mondo giovanile, le sue paure, le fragilità e la perdita di valori... (s.c.)
Quando ero ragazzo e ascoltavo i discorsi dei “grandi”, rimanevo sempre colpito da una costatazione, che già allora mi faceva riflettere: i loro tempi passati, i tempi degli ora “grandi”, quando erano giovani, erano sempre, irrimediabilmente e nostalgicamente migliori di quelli attuali, di quelli nei quali eravamo giovani noi che ascoltavamo, con una certa malcelata accondiscendenza e sufficienza, per non parlare poi dei tempi della generazione ancora precedente, quella dei nostri nonni, che addirittura, nelle loro memorie lontane, rappresentavano quasi l’Eden.
Questa costatazione e affermazione, lungi dall’irritarmi e infastidirmi, mi appariva, malinconicamente patetica e segno e conseguenza dell’età che cominciava ad essere sufficientemente avanzata.
Ma ora, che tale età avanzata l’ho raggiunta anche io, mi scopro, non senza raccapriccio, non senza sgomento e terrore, che quella considerazione comincio a farla anche io, nei discorsi con i miei coetanei, nei dialoghi con i miei ex compagni di scuola, divenuti anche loro adulti e con i quali ancora sussiste l’abitudine dolce-amara di rivederci costantemente.
Allora, per non cedere completamente, per non arrendermi, senza l’onore delle armi, alla costatazione che il tempo è passato anche per noi, che anche noi siamo diventati “grandi”, che anche noi certamente veniamo guardati con sufficienza e, spero, dolce comprensione dai giovani, che anche noi, come gli anziani di allora, siamo diventati laudatores temporis acti, conformemente e coerentemente con la nostra età, allora, in un estremo conato di salvezza, mi chiedo, e non retoricamente: ”Il lodare e rimpiangere il tempo passato, come migliore del presente, è sempre ed ineludibilmente un appannaggio, una prerogativa della età anziana e matura, oppure, e non so se sperarlo, o temerlo, nel lento e graduale progredire della Umanità i tempi presenti sono sempre e obbiettivamente peggiori di quelli precedenti e quindi l’Umanità, lungi dall’evolvere, come orgogliosamente crede, invece involve progressivamente e progressivamente peggiora?”.
Sono spaventato, anche io stesso, da questa domanda, perché entrambe le risposte mi sgomentano, la prima egoisticamente, la seconda altruisticamente.
Se infatti è vera la prima ipotesi, allora mi avvio a diventare vecchio, se, viceversa è vera la seconda, allora è l’Umanità stessa a diventare vecchia e dopo la vecchiaia segue irrimediabilmente la morte.
In una società umana, nella quale i giovani non sono migliori dei grandi che li hanno preceduti, in una società umana, nella quale i giovani non sono pronti, desiderosi, ansiosi di prendere il “testimone” dalle mani di coloro i quali hanno già percorso il tratto di vita a loro spettante, prima di loro, e ora stanchi sono disposti, pronti, a cederlo, in una società umana nella quale i giovani non sono pronti a percorrere il loro tratto di strada, affiancandosi e poi sostituendosi a chi li ha preceduti nella vita, in questa società umana sono evidenti, drammatici, ineludibili, terrorizzanti i segni della involuzione e della fine imminente, con lo spettro terrifico della scomparsa di quella società stessa.
La società attuale, quella in cui viviamo e operiamo, corrisponde a questi scenari da fantascienza?
Spero sinceramente di no, e sono confortato in questo dall’esempio vivente di tanti giovani che conosco personalmente e che si adoperano, lottano, si fanno strada, si distinguono, si impegnano, si sacrificano, per conseguire i risultati che si sono prefissi, per realizzare i propri sogni e i propri ideali, per compiere il proprio dovere e per far progredire la società alla quale appartengono, ma se ci spostiamo da un piano strettamente personale e di osservazioni singole e ci collochiamo su un piano più ampio, statistico, di grandi numeri e di fenomeni di massa, allora purtroppo il discorso si fa meno ottimistico e positivo, anzi direi, purtroppo realisticamente pessimistico.
Alcuni fenomeni che riguardano i giovani di oggi, ovviamente non considerando singoli casi personali, ma osservando, per così dire, dall’alto, mi preoccupano grandemente e mi obbligano ad essere seriamente intimorito e timoroso per i tempi a venire e li enumero in successione, senza stabilire tra essi una gerarchia di importanza negativa: il pauroso , diffuso, incontestabile ed ineludibile abbassamento disastroso del livello di cultura medio, che non tiene conto, ovviamente, delle elite intellettuali, ma considera una media statistica, l’abbandono da parte di molti giovani diplomati, degli studi universitari, o addirittura la rinuncia a priori ad essi, considerati come un inutile parcheggio, privilegiando la ricerca di guadagni più facili e più immediati, la notevolissima, dilagante diffusione, tra la popolazione giovanile, di ogni specie di droga, già dalle fasce di età più precoci, il fenomeno dell’alcolismo giovanile, purtroppo ancora sottovalutato e sottostimato, il drammatico venir meno di valori ideali, specifici, nelle epoche passate, proprio delle popolazioni giovanili e la sostituzione di questi, con valori materiali e consumistici, la precocità di una vita sessuale completa, disgiunta, separata, deprivata di una compartecipazione affettiva indispensabile per una evoluzione verso una dimensione matura, cosciente e consapevole della sessualità, una tendenza sempre più evidente e sensibile alla omologazione, alla rassicurante adesione ad un modello comune, ad una moda di riferimento, con una conseguente, catastrofica nelle risultanze, rinuncia ad un proprio sviluppo individuale e alla realizzazione della propria personalità autonoma e di individuo pensante, la riluttanza ad abbandonare la casa dei propri genitori e il perpetuarsi, oltre i limiti fisiologici, di una eterna adolescenza, la drammatica, continua rinuncia, ad assumersi le proprie responsabilità in ogni ambito, la tendenza a rinunciare di fronte alle difficoltà, una notevole fragilità emotiva e incapacità a tollerare le frustrazioni.
Forse qualcuno mi rimprovererà di aver dipinto un quadro troppo oscuro e troppo pessimistico, ma purtroppo il mio punto di osservazione, come psichiatra, mi fornisce tali visioni e mi obbliga a tali conclusioni.
Ciò che più mi spaventa è il crollo verticale del livello medio di cultura e l’uso di droghe, anche quelle cosiddette e, a parer mio erroneamente, “leggere”, che leggere non sono proprio, che sulla scia di questo equivoco sono estremamente diffuse, che privano chi ne fa un uso abituale, di ogni volitività e determinazione, riducendolo in uno stato di apatia, abulia, anaffettività costante, privandolo di quella spinta vitale così caratteristica, proprio nei giovani e che poi si affievolisce nella età matura.
Va da sé che il venir meno della cultura e della spinta vitale, priva la gioventù della sua caratteristica più precipua e insostituibile, rendendola facilmente malleabile, dominabile, influenzabile, schiavizzabile.
Non dimenticherò mai la frase di un mai dimenticato Presidente degli USA, John Fitzgerald Kennedy, che in anni ormai remoti, e a proposito di questo fenomeno, evidentemente già sensibile e preoccupante, ebbe a dire che se fosse stato indotto ad arte, da una potenza straniera, si sarebbe dovuto considerare un atto di guerra.
* Psichiatria, Specialista in Ettasos (www.ettasos.com)