di Nicola Tranfaglia
Siamo di fronte a uno scandalo di particolare rilievo. Sappiamo da tempo che il terzo governo di Silvio Berlusconi mal sopporta gli organi costituzionali di controllo del potere esecutivo.
In questa legislatura, come si è visto nel caso Englaro, la presenza del controllo esercitato secondo la costituzione dal Capo dello Stato è stato assai sgradito.
Ora di nuovo Berlusconi è preoccupato per il giudizio, previsto nei primi giorni di ottobre davanti alla Corte Costituzionale sul lodo Alfano, su cui già pende la possibilità di un referendum, abrogativo con un milione di firme raccolto dall’Italia dei valori e dai militanti di Rifondazione comunista.
Il capo del governo sa che, se la Corte giudicasse incostituzionale la legge che stabilisce la sua completa immunità penale per i cinque anni dell’attuale legislatura, correrebbe il rischio effettivo di doversi dimettere di fronte alla condanna dell’avvocato Mills, quando questa diventasse definitiva davanti alla Corte di Cassazione.
Quel processo, infatti, lo coinvolgerebbe direttamente qualora la sentenza definitiva confermasse che è stato lui il corruttore del legale inglese nel relativo processo.
Di qui è immaginabile il tentativo da parte di Berlusconi di influenzare la Corte Costituzionale e trovare una maggioranza interna in grado di dichiarare valido il lodo Alfano.
Luigi Mazzella, salernitano, ex avvocato generale dello Stato dal 2003. Dal 14 novembre 2002 al 2 dicembre 2004 è stato ministro della Funzione Pubblica nel II governo Berlusconi
Paolo Maria Napoletano, a sua volta, è stato un funzionario del Senato, legato da molti anni a Gianfranco Fini e ha fatto parte del suo gabinetto quando era vicepresidente del Consiglio nel 2003 e dal 2004 al 2006 quando Fini fu ministro degli Esteri nel II governo Berlusconi.
I due giudici costituzionali appartengono dunque da tempo alla Destra ma questo è normale in un organismo che elegge i giudici con un meccanismo parlamentare che richiede una maggioranza qualificata e conduce di fatto all’elezione di giudici graditi in particolare all’una o all’altra parte ma riconosciuti anche dalla parte che non li sceglie come giuristi qualificati.
Quello che non è normale ma è pericoloso e inquietante che uno dei due giudici, Luigi Mazzella, inviti a casa sua non soltanto il presidente del Consiglio Berlusconi e il ministro della Giustizia Alfano ma anche i presidenti della Commissione Affari Costituzionali della Camera on. Donato Bruno e del Senato senatore Carlo Vizzini e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. L’obbiettivo è quello di parlare di una bozza di riforma costituzionale della Giustizia, scritta dallo stesso Mazzella, che sostituirebbe i pubblici ministeri con gli avvocati dello Stato, modificherebbe i criteri di elezione del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale.
Da questo punto di vista ha ragione, a mio avviso, chi, nel PD e nell’Italia dei Valori, si scandalizza per la cena di Mazzella: ha relativa importanza che si sia parlato oppure no del lodo Alfano.
Quel che preoccupa, politicamente e sul piano della correttezza istituzionale necessaria, è che a una cena in cui è presente lo stato maggiore della Destra al potere, a partire dal capo del governo, partecipino come consiglieri due giudici costituzionali che ai primi di ottobre dovranno pronunciarsi sul lodo Alfano.
In questo senso la lettera aperta che il giudice Mazzella ha inviato ai giornali, d’accordo con il presidente del Consiglio, non è accettabile, o meglio è scorretta, perché confonde il diritto inviolabile di avere gli amici che si preferiscono con la necessità inequivocabile che i membri di un organo di controllo fondamentale come la Corte Costituzionale restino lontani dagli affari politici della maggioranza e dell’opposizione.
A questo punto non c’è dubbio sul fatto che i due giudici presenti a quella cena, “politica” e non solo amicale, dovranno astenersi nel giudizio sul lodo Alfano se non vogliono minare la credibilità istituzionale della Corte di cui fanno parte.
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