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Articolo 21 - Editoriali
Omofobia e media, il cammino difficile ma necessario tra chi odia ciecamente e chi vuole aprire gli occhi allâ??Italia
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di Daniele Priori

L’omofobia ha sfondato il muro del silenzio. Le luci dei riflettori si sono più che mai accese su quelle persone, come chi scrive, che di fronte a gesti di violenta arroganza hanno deciso di sollevare il capo e parlare. E se i troppi episodi di sopraffazione e delinquenza contro tanti cittadini inermi, purtroppo, non sempre riescono a superare il confine, talora angusto, della cronaca locale, subire invece angherie e poi una aggressione per un motivo futile quale può essere un parcheggio condominiale, può scatenare, come è accaduto a chi scrive, una protettiva selva mediatica, tutta intenta a raccontare e, in qualche caso addirittura filmare, testimonianze evidentemente legate a un fenomeno, una colonna sonora, forse fin troppo nota ma mai mostratasi con tale sfrontata evidenza.

Parliamo ovviamente del sottofondo rappresentato dalla cieca ignoranza omofoba. I giornalisti, la stampa, gli inviati a raccontare i mille mondi che vivono e fanno, nel bene e nel male, il nostro Paese, stavolta, hanno deciso di scandagliare con attenzione il ventre dell’Italia per mettere alla berlina tali indecorosi bassissimi istinti che, pure, il Codice italiano ancora non riconosce con il proprio vero nome e le relative sanzioni, applicate invece in molte altre nazioni europee, su tutte la vicina Francia.

Ora, essere presi a pugni in faccia senza ragione, o meglio, con l’unica ragione di essere annientati nel profondo dell’animo, credetemi, è una sensazione davvero brutta, dolorosa, che svuoterebbe chiunque facendogli girare in testa molti perché sul senso della vita, su quello di chi vive attorno e, posto che vi sia una civiltà comune, sulla diversa interpretazione e attuazione che persone della stessa nazione, della stessa cultura (forse), della medesima etnia ma di differente orientamento affettivo e sessuale (unica differenza) possono darne.

La fortuna, però, di essere militanti, quindi appartenenti e a una comunità culturale e politica quale è anche (sia pure troppo debole) quella viva all’interno del movimento gay italiano, oltre alla vera e propria barricata di civiltà alzata dagli interventi dei mezzi di comunicazione, hanno fatto sì, per me e il mio compagno Ciri Ceccarini, che la forza si sia ritrovata presto, il vigore e gli affetti siano raddoppiati dalle manifestazioni di solidarietà e amicizia vera, al punto da riuscire a cacciar via i brutti pensieri, ripulendo la mente dalla fotografia degli occhi cattivi di chi non esita a usare pugni e schiaffi contro chi, a suo giudizio, viola il decoro di una “civile” palazzina condominiale.

Queste le scuse addotte con false, diffamatorie e volgari dichiarazioni, anche di fronte alle domande della stampa, da persone che, evidentemente, nella progredita Rimini, hanno ancora in uggia avere come vicini dei ragazzi omosessuali tranquilli, tutt’altro che esibizionisti eppure accusati da queste persone di mettere in scena chissà quale chiassosa piéce teatrale en travestì sul balcone di casa. Accusando da ultimo chi scrive e il proprio compagno, vista la rilevanza mediatica acquisita dal fatto, ovviamente, di volerci fare pubblicità. Neanche avessimo attratto pugni e schiaffi con una calamita.

Questo è niente, tuttavia, di fronte alla avvilente e sfrontata difesa di Svastichella, il potenziale omicida accusato di avere ferito quasi a morte Dino, il ragazzo marchigiano di trent’anni, a Roma per lavoro, colpevole di aver abbracciato e forse baciato il suo compagno di vita o di una sera, poco importa, in mezzo a una pubblica via capitolina, all’uscita del Gay Village. Ancora più grave evidentemente secondo l’aggressore, l’ennesimo padrone del mondo, già noto alla giustizia per risse e danneggiamenti del patrimonio pubblico, aver reagito di fronte allo scherno, comunque violento, di una irridente bottigliata in testa al suo amico.

Non a caso la linea difensiva dell’aggressore sta puntando, incredibilmente, sulla provocazione che l’innocuo e pacifico Svastichella (anche il soprannome parla da sé…) avrebbe subito dai due omosessuali che, stando a questa versione, forse erano addirittura armati di coltello (!!!), visto che il 40enne dall’angelico nomignolo ha detto di non avere con sé alcuna arma da taglio.

Evidentemente tutti sanno che il Gay Village (presto visitato anche dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno) è popolato da violentissimi omosessuali abituati a girare armati. Suvvia!

La verità probabilmente è un’altra. Ci troviamo in un frangente storico-sociale in cui, secondo questi nostri violentissimi concittadini e in assoluta controtendenza rispetto a quanto invece, con sempre maggiore frequenza fortunatamente capita, l’omosessuale, così come le donne e tutte le cosiddette “categorie a rischio” dovrebbero continuare a tenere la testa bassa e la coda tra le gambe, prendendosi tutto. La lama del coltello o la violenza cieca di un pugno in faccia, infatti, scattano nel momento in cui vedono che lo sporco frocio di merda di turno, non ci sta alle loro angherie, ai loro bullismi, non ha più paura e si ribella. Gli omofobi più insopportabili chiamano tutto ciò “provocazione”, quelli più raffinati, invece, utilizzano nelle interviste un termine non meno odioso e insostenibile: ostentazione.

Un movimento per i diritti civili maturo dovrebbe, invece, utilizzare l’unico termine utile: presa di coscienza, non ideologizzata ma piena di fiero buon senso.
Tra le trame di queste orribili storie di bieca sopraffazione razzista potrebbe esserci, infatti, il filo di Arianna di un nuovo ’68. Di gente pronta finalmente ad alzare il capo e reagire.

I media pare l’abbiano capito stavolta prima degli altri (addirittura in anticipo su molti gay) e sono pronti a prestare le penne, i taccuini, le telecamere a una battaglia giusta e necessaria non solo a far crescere l’Italia, avvicinandola all’Europa e sottraendola al buio ma, di più, utile a svegliare finalmente le coscienze della gente comune, semplice ma perbene e, non da ultimo, a preservare la sicurezza di tante persone che, ancora, per i più disparati motivi non hanno la forza di denunciare ciò che invece va gridato con razionale veemenza. Alla comunità gay l’onore, l’onere e il senso di responsabilità di saper tenere accesi i riflettori su casi troppo gravi per essere ignorati dalla cronaca ma che, alla pari, per non essere strumentalizzati contro gli stessi gay, necessitano ancora di riflessioni sociali, sociologiche, giuridiche e politiche approfondite. Così da non sbagliare nemmeno un passo nel lungo cammino appena iniziato e mirato ad aprire gli occhi all’Italia.

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