Articolo 21 - Editoriali
Dopo averlo preso a calci nel sedere gli tenderei la mano: coraggio Piero
di Valter Vecellio
Se prenderei Piero Marrazzo a cazzotti? Ma certo; gli romperei la faccia, lo prenderei a calci nel sedere. L’ho conosciuto quasi vent’anni fa, quando lavorava alla cronaca del “TG2”, prima che diventasse il personaggio che è diventato conducendo una fortunata trasmissione sulla terza rete, e poi si desse alla politica: ed era una bella redazione davvero. L’ho votato, convinto, quando si è candidato a Governatore della regione Lazio; non ha governato male, poteva fare senz’altro molto di più, e suppongo per convenienza e calcolo non lo ha fatto. Una “prudenza” politica che mal si concilia con gli aspetti spericolati di vita privata che emergono ora. O forse invece si conciliano benissimo.
Prenderei Piero a cazzotti e a calci nel sedere non per le sue “debolezze”; quelli sono affari suoi, della sua famiglia; nessun altro ha il diritto di metterci il naso, di sindacare e giudicare. Ci ha però ingannato, quando ha parlato di “bufala”, quando ha negato che un video esistesse e che fosse autentico. Lo abbia fatto per disperazione o per qualsivoglia altro motivo, conta che abbia mentito, che si sia comportato come un Berlusconi qualunque. Conta che si è comportato con una inqualificabile leggerezza. Conta che ha dell’incredibile quel suo colloquio telefonico con il presidente del Consiglio che gli dà rassicurazioni, e non compreso che quella conversazione - come ha giustamente osservato “Europa” – conteneva un doppio segnale: “quello in chiaro era che le testate di Berlusconi non l’avrebbero colpito; quello criptato era che la sua salvezza personale passava anche dal trarre tutte le conseguenze politiche dal fatto che quel video circolava per le redazioni di mezza Italia”.
Ora però, basta. Piero si è dimesso: è un cittadino spogliato di qualsiasi potere, senza alcun ruolo e incarico pubblico. Ha fatto quello che doveva Piero, quello che la decenza, e tutti gli chiedevano di fare. Dopo avergli spaccato la faccia, dopo averlo preso a calci nel sedere, gli tenderei la mano: coraggio Piero. Ha fatto gravissimi errori, li paga e – quel che è peggio – li fa pagare a persone di nulla responsabili, che si sono viste crollare il mondo addosso; ma ora che ha sgomberato il campo ha il diritto di restarsene con i suoi rimorsi e i suoi tormenti, e recuperare, se può, se sa, sollievo e serenità. Ha il diritto di farsi dimenticare e di essere dimenticato. Ha dilapidato sciaguratamente se stesso, i suoi affetti, il suo credito politico e professionale, la fiducia che il suo nome ispirava. Ora, basta.
Prenderei Piero a cazzotti e a calci nel sedere non per le sue “debolezze”; quelli sono affari suoi, della sua famiglia; nessun altro ha il diritto di metterci il naso, di sindacare e giudicare. Ci ha però ingannato, quando ha parlato di “bufala”, quando ha negato che un video esistesse e che fosse autentico. Lo abbia fatto per disperazione o per qualsivoglia altro motivo, conta che abbia mentito, che si sia comportato come un Berlusconi qualunque. Conta che si è comportato con una inqualificabile leggerezza. Conta che ha dell’incredibile quel suo colloquio telefonico con il presidente del Consiglio che gli dà rassicurazioni, e non compreso che quella conversazione - come ha giustamente osservato “Europa” – conteneva un doppio segnale: “quello in chiaro era che le testate di Berlusconi non l’avrebbero colpito; quello criptato era che la sua salvezza personale passava anche dal trarre tutte le conseguenze politiche dal fatto che quel video circolava per le redazioni di mezza Italia”.
Ora però, basta. Piero si è dimesso: è un cittadino spogliato di qualsiasi potere, senza alcun ruolo e incarico pubblico. Ha fatto quello che doveva Piero, quello che la decenza, e tutti gli chiedevano di fare. Dopo avergli spaccato la faccia, dopo averlo preso a calci nel sedere, gli tenderei la mano: coraggio Piero. Ha fatto gravissimi errori, li paga e – quel che è peggio – li fa pagare a persone di nulla responsabili, che si sono viste crollare il mondo addosso; ma ora che ha sgomberato il campo ha il diritto di restarsene con i suoi rimorsi e i suoi tormenti, e recuperare, se può, se sa, sollievo e serenità. Ha il diritto di farsi dimenticare e di essere dimenticato. Ha dilapidato sciaguratamente se stesso, i suoi affetti, il suo credito politico e professionale, la fiducia che il suo nome ispirava. Ora, basta.
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