di Federico Orlando*
Ma quando i giornalisti diventeranno seri?
Cara Europa, vedo sul giornale che compro normalmente fotografie di Marrazzo, della signora Roberta, dei monasteri dove presumibilmente l’ex presidente si sarebbe ritirato o avrebbe voluto ritrarsi come «meta ultima ai tristi errori», a dirla con Carducci, di Carlo Alberto, nell’ode Piemonte. E mi domando: possibile che il nostro tempo si sia così imbarbarito da averci ridotti a branco o a vivere fra i branchi, compreso quelli dei cronisti-teleoperatori-fotografi scatenati come lupi appena sentono odore di ex montoni diventati agnelli? Trovo vigliacco e incivile questo comportamento della vostra categoria, non meno delle scimmie urlatrici che una sera sì e l’altra pure infestano i talk show. ALDO CALVI, ROMA
Caro Calvi, è dal 1968, quarant’anni, che mi trovo fra branchi d’ogni tipo: studenteschi, terroristici, corporativi, polizieschi, e, purtroppo, giornalistici. Dico purtroppo perché non ho mai condiviso le leggi demagogiche e populiste che hanno trasformato anche i fotografi in “giornalisti”, pur avendo io sempre riconosciuto il carattere prezioso della loro opera illustrativa, che completa l’informazione scritta; e talvolta, se la fotografia è penetrante, migliora la cronaca, che dunque le deve molto. Spesso invece contribuisce a degradarla. La morale corrente, ipocritamente bacchettona e baciapile, individua il degrado nelle foto cosiddette osé, che alluvionano la stampa del gossip e della pruderie. Io il degrado lo individuo nello foto che danno dell’essere umano l’immagine più mortificante della sconfitta (economica, sociale, fisica, morale, giudiziaria o quel che sia). E credo che la cosa migliore che, in mezzo secolo di redazione, mi sia riuscita, è l’aver fatto a pezzi e buttato nel cestone le fotografie, che alcuni colleghi oggi berlusconiani mi proponevano con accalorata insistenza, di uomini in catene: tangentopoli e non solo. Talvolta si andava al battibecco, che finiva quando proponevo ai fondamentalisti di scrivere i loro articoli rappresentando il “fatto” con la stessa “fedeltà” della fotografia cestinata. Comunque, sono sicuro che il branco che assale persone consenzienti o vittime perderebbe parte dei suoi artigli se il mercato, il dio mercato, rifiutasse o limitasse al massimo l’acquisto di prodotti, come lei dice, vigliacchi e incivili.
Quanto al caso Marrazzo, ne scrivo ancora solo per esprimere la mia ammirazione alla collega Roberta Serdoz, moglie dell’ex presidente, per la sua forza d’animo nel non infierire sull’uomo caduto, quale che sarà il futuro rapporto di coppia, e nell’essere tornata al lavoro in video e in convegni con l’intera sua personale dignità («che dei Numi è dono serbar», Foscolo, per restare alle citazioni cui lei mi provoca). E per fare due considerazioni critiche. La prima, retrospettiva, riguarda il mio schieramento politico: se avevate sentore delle debolezze che avrebbero potuto esporre Marrazzo a ricatti personali e politici, perché lo avete candidato e soprattutto ricandidato in vista del prossimo marzo? La seconda, attuale, guarda l’immancabile e immarcescibile Berlusconi: ma come fa un presidente del consiglio, che è il primo pubblico ufficiale dello stato, così come il presidente della repubblica ne è il primo magistrato, a telefonare a Marrazzo per dirgli: qui si sta consumando un ricatto, cioè un reato, contro di te: vedi tu cosa vuoi fare, se denunciarlo o accordarti con questi signori, di cui ti dò l’indirizzo? Eppure, alla direttrice dell’Unità che proprio di questo abc dello stato di diritto osava parlare nella gabbia delle scimmie urlatrici, hanno tappato la bocca con la grevità della provincia meridionale più analfabeta, degna dei ceti lumbard che hanno l’avversione alla legge nella loro cultura “liberista”. E poi dicono che bisogna dialogare. Ma che cavolo di dialogo si può fare con chi vive nel maso chiuso delle sue convenienze feudali? Federico Orlando
* Europa quotidiano - 30 ottobre 2009