di Simone Luciani
Una premessa: da laico (laicista, secondo un termine privo di significato ma che pare in voga negli ambienti clericali) dormo serene e tranquillissime notti anche se in molte aule delle scuole italiane è appeso un crocifisso. Credo che ben altri siano i problemi (e i drammi) della scuola italiana, e che ben altri siano i problemi (e i drammi) del rapporto fra Stato italiano e Stato vaticano. Dunque, possiamo spendere meglio il nostro tempo che non in una guerra di religione rispetto a un argomento che interesserebbe giusto qualche persona, oltre alle migliaia di bidelli eventualmente impegnati ad attaccare o staccare chiodi e croci a seconda delle sentenze.
Detto ciò, c’è da dire che il consueto “Cantico dei Catechisti” che si è levato da Montecitorio, da Palazzo Madama (al solito trasversalmente) e da Palazzo Chigi ha due possibili ragioni: o che la larga maggioranza dei nostri eletti è talmente folgorata dalla luce divina da perdere la capacità di razionalizzare; o che regna imperante la necessità, che segnalo a intervalli più o meno regolari da mesi, di compiacere con ogni mezzo (compresi, ed è il caso di ieri, ricorsi in Corte Europea realizzati nel giro di qualche decina di minuti) papi, cardinali, vescovi e sagrestani. Perché la sentenza della Corte Europea poggia su due capisaldi che è difficile contraddire. Il primo è che portare ogni giorno i propri figli in una classe sovrastata dal segno del cristianesimo lede la libertà di educare i figli, sul piano religioso, etico e dei valori, come meglio si creda. E il secondo è che quel segno religioso, nei paesi in cui quella religione gode della larga maggioranza di adepti fra la popolazione, può rappresentare una forma di pressione su chi appartiene a una minoranza ed è, oltretutto, nell’età della crescita e della formazione della personalità. Ora, le argomentazioni a favore della croce non solo non affrontano questi due temi, ma definirle friabili è utilizzare un eufemismo. Quella ricorrente, e usata anche dal Consiglio di Stato, è che il crocifisso sarebbe un simbolo della nostra tradizione. E allora? Lo sono anche Boccaccio, Michelangelo, Verdi, Manzoni, la pizza, gli spaghetti, il mandolino, Alberto Sordi. Eppure, sulle pareti delle scuole non ci sono. Il crocifisso è lì non perché è un simbolo della tradizione, ma perché è il simbolo di una particolare religione, largamente prevalente nel nostro paese e le cui autorità hanno un rapporto a dir poco stretto con i nostri governanti. E anche se l’aspetto culturale prevalesse, quello resterebbe “anche” un simbolo religioso. La seconda argomentazione è che il cristianesimo porta valori “positivi”. Stando che il giudizio sui valori del cristianesimo, che sono molti e complessi, è individuale, è piuttosto singolare pretendere che un Stato deroghi al principio di laicità perché, secondo alcuni, una religione è “bella”.
E infine c’è la soluzione “riformista”, multiculturale, avanzata, moderna. Quella che parla di una laicità buona e di una laicità cattiva, dove la laicità buona sarebbe quella che “include” (anche il crocifisso nelle aule). Quale sarebbe la soluzione che ne deriverebbe, se non quella di riempire le pareti delle scuole di simboli religiosi di ogni tipo, e magari gli orari scolastici di ore di religione di ogni culto e i collegi dei docenti di predicatori di ogni sorta? Apprezzo lo spirito, ma mi pare stravagante.
La realtà è che è successo l’inevitabile, e cioè che se tra molti diversamente credenti o laici che poco si interessano delle croci appese al muro (tra cui io) c’è qualcuno possa esserne disturbato, a questo qualcuno viene data ragione dalla giustizia. E’ inevitabile perché di ragione ne ha da vendere, sul piano giuridico e del buon senso.
Infine: non si riduca tutto ciò a una datata lotta fra guelfi e ghibellini. In primo luogo perché in Italia ci si divide su tutto, e non si capisce perché non ci si dovrebbe dividere sul tema della laicità. E in secondo luogo perché basta leggere le agenzie di ieri per capire come la questione stia molto più a cuore ai cattolici (o meglio, ai clericali), scatenati in ogni sorta di anatema, che ai laici, tutto sommato abbastanza disinteressati alla questione (a parte qualche sporadico caso tutt’altro che influente sulla società). Insomma, non sorprende che qualcuno voglia staccare il crocifisso dall’aula di un edificio pubblico, e che gli venga data ragione. Sconcerta, invece, che la stragrande maggioranza della politica italiana faccia a gara a chi riesca a riattaccarlo prima.