di Mattia Stella
Sabato notte, intorno alle 24,00 circa, quando ormai tutti i migliori brani erano stati esclusi dal festival di Sanremo, di fronte alla plateale protesta dell’orchestra e alle urla di disappunto del pubblico presente in sala, la Clerici ha inaugurato un nuovo corso del diritto costituzionale. La brava conduttrice, sulla scorta delle indubbie conoscenze di Kelsen, Mortati, Calamandrei ed Elia, si è lanciata in un aggiornamento del concetto di sovranità popolare legandolo saldamente al televoto. Insomma la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme stabilite dal televoto.
Il richiamo al telepopolo sovrano non era una delle solite gaffes della Clerici, no. Esprimeva fino in fondo l’idea di democrazia rappresentativa che si è andata pian piano affermando nel nostro Paese. Basta un telefono, si manda un sms oppure si digita un codice dal telefono fisso e “tac” la sovranità è fatta.
Chi scrive ha sempre visto il festival di Sanremo. Non appartengo alla casta degli “snob” che solo classica e musica etnica. Dico viva Renato Zero, viva Tiziano Ferro, viva la musica sana, sia essa d’autore o nazionalpopolare. La musica è una cosa fondamentale per la vita e Sanremo rappresenta nel bene e nel male gran parte della storia della musica d’Italia degli ultimi 60 anni.
Certamente la sovranità del telepopolo ha “ucciso” la qualità a vantaggio degli onnipresenti del piccolo schermo. Ormai “Amici”, “X-Factor”, “Ballando sotto le stelle” sono programmi che determinano l’intera programmazione televisiva e, di riflesso, la cultura popolare dell’Italia. Qui nasce il problema. Perché siamo finiti così in basso? Dov’è il ruolo pedagogico della televisione in programmi televisivi incentrati su “gare” prive di “mission” educativa? Mi preoccupo soprattutto per i più piccoli, per i bambini e per gli adolescenti, “bombardati” da modelli e stereotipi profondamente diseducativi, privi di quel minimo senso della realtà, oltre che della qualità, che apparteneva a programmi storici che non troppi anni fa si rivolgevano al pubblico dei minori.
Piccola nota speciale va dedicata al “principe”, volutamente con la “p” minuscola dato che fino a prova contraria i titoli nobiliari non sono riconosciuti in Italia. Il disegno di revisionismo storico è subdolo ma inesorabilmente va avanti. Basta pensare all’agghiacciante trasmissione andata in onda su Rai 2, “Il più grande”, dove il “giovane” Facchinetti, assistito da una corte di commentatori variamente assortiti, si dilettava a giudicare i più grandi della storia e, di tanto in tanto uno Sgarbi o un Buttafuoco (i più acculturati della squadra), si cimentavano in una rilettura storica priva di reale contraddittorio. Vani i tentativi della giovane Giulia Innocenzi di mettere qualche argine, tanta buona volontà ma in quella trasmissione non c’era troppo spazio per il buon senso.
La presenza di Emanuele Filiberto a Sanremo non è stata affatto casuale, così come non lo era il brano portato.
Occhio, queste cose fanno male, ancora una volta penso soprattutto ai più piccoli. Forse molti non lo sapranno, ma oggi, nelle scuole elementari italiane, ci si ferma alla storia degli antichi Romani e i bambini arrivano a conoscere la storia moderna del nostro Paese solo a 13 anni. E’ chiaro che se la televisione si arroga la funzione di “educare” si dovrebbe chiedere ed ottenere che l’informazione sia oggettiva, soprattutto quella storica.
Infine, invoco la “par condicio”, ma non per un partito piuttosto che per un altro. Invoco la par condicio per la Repubblica, che per 4 giorni è stata cancellata a favore della monarchia, anche questa, rigorosamente con la “m” minuscola.
P.S. W L’ORCHESTRA CHE SI RIBELLA. PROVE TECNICHE DI RESISTENZA CIVILE!!!!