di Associazione "Articolo Tre" (Gubbio)
Cari amici di Articolo 21, siamo i membri di un’associazione che nel suo nome richiama l’articolo 3 della Costituzione e da circa un anno ci battiamo, nel nostro piccolo, perché l’uguaglianza formale e l’uguaglianza sostanziale dei cittadini di questa repubblica si realizzino nei fatti. Abbiamo letto con sgomento la notizia dei risultati a cui è approdata la commissione parlamentare di indagine sulla Sanità rispetto al caso Cucchi. Ci sono almeno tre elementi preoccupanti in questa vicenda.
1) In carcere il giovane ha subito violenza.
2) In ospedale non è stato adeguatamente assistito.
3) Il suo rifiuto di mangiare e bere era una forma di protesta. Stefano chiedeva di esercitare il diritto a incontrare il suo legale.
Ci conforta sapere che Giovanni, Rita e Ilaria Cucchi, i familiari di Stefano, siano soddisfatti dell’esito dell’inchiesta, perché li abbiamo conosciuti e abbiamo visto con quanta determinazione cercano la verità, stando attenti a conservare il massimo rispetto per lo Stato e per gli uomini che lo rappresentano. Nonostante la sensazione che nel loro caso qualcuno abbia commesso errori imperdonabili.
Se una pena ci deve essere, che arrivi senza sconti e in tempi ragionevoli. Questa è l’uguaglianza che auspichiamo. Un traguardo che sembra difficile da raggiungere quando, davanti al giudice, si è semplici cittadini contro sistemi più articolati e forse protetti.
Verità per Aldo Bianzino - Nei giorni scorsi Rita e Giovanni sono stati nostri ospiti, a Gubbio, in occasione di un dibattito sulla giustizia e sul ruolo dell’informazione nella difesa della verità. Abbiamo preso ad esempio la vita nelle carceri, perché siamo convinti che anche il modo in cui vengono trattati i detenuti sia misura della civiltà di un paese. All’incontro ha partecipato anche Rudra Bianzino, figlio di Aldo, morto il 14 ottobre 2007 nel carcere di Capanne a Perugia. Nel suo caso il giudice ha archiviato l’inchiesta stabilendo che il decesso avvenne per cause naturali. La famiglia, però, nutre ancora molte perplessità.
Non abbiamo una verità alternativa da difendere, ma crediamo che tutte le sentenze debbano sussistere al di là di ogni ragionevole dubbio. E allora speriamo che anche Rudra possa presto dire di avere ottenuto giustizia, soprattutto perché un errore in questo caso sarebbe gravissimo. All’epoca dei fatti Rudra era poco più che bambino e oggi dice: «Da quel giorno io non ho più avuto una famiglia». Sua madre è morta di dolore e malattia, lui è cresciuto solo con le sue forze e con l’aiuto degli amici. Come potrà mai considerarsi uguale agli altri? E soprattutto come potrà farlo se avrà la sensazione di avere perso i suoi affetti per colpa di qualcuno?
Le carceri esplodono - Nel dibattito è intervenuto anche Alessio Scandurra, in rappresentanza di “Antigone”, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale.
Le cifre sulle carceri parlano di un’emergenza senza precedenti: sessantasettemila detenuti, il record assoluto nella storia della repubblica. «Per gli istituti – ha osservato Scandurra - è faticoso, in queste condizioni, realizzare la missione che è loro propria: rieducare chi ha commesso dei crimini».
Vivere in carcere è difficile per chi espia la pena, ma anche per chi ci lavora. E non è detto che episodi di violenza contro se stessi e contro gli altri non derivino proprio da questa situazione, ormai intollerabile. È qui che la comunicazione assume un ruolo chiave.
Cari amici di Articolo 21, lottate perché i cittadini possano finalmente sapere cosa succede tra le mura dei penitenziari. Noi non rinunciamo a immaginare un mondo in cui chi fa informazione possa entrare in carcere a raccogliere notizie senza settimane di preavviso.