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Articolo 21 - Editoriali
Quando le lacrime non bastano più
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di ARPJ Tetto Onlus – Una scuolina per crescere

Premessa: sono almeno quattro anni che frequentiamo i “campi abusivi” fra Magliana e Ostiense a Roma; sono almeno quattro anni che incontriamo persone, conosciamo storie e volti segnati dalla miseria; sono almeno quattro anni che, mentre sperimentiamo complicati percorsi di inserimento sociale, ci ritroviamo a caricare coperte, vestiti e cibo per fronteggiare l’ennesimo sgombero o incendio o qualche altra quotidiana tragedia che segna la vita dei rom dei “campi abusivi”; sono almeno quattro anni che lamentiamo la totale mancanza di interventi sociali e assistenziali per chi, dimenticato, sgomberato o espulso, è considerato “abusivo” o “irregolare”. Qualcuno esattamente come Mario.
A via Morselli ci siamo stati per la prima volta nell’estate del 2007. Come prima, lungo l’argine del fiume o sotto il viadotto della Roma-Fiumicino, siamo andati a proporre un minimo di sostegno per famiglie e bambini, un percorso di inserimento scolastico e assistenza per facilitare l’accesso ai servizi pubblici. E, come in altri “campi abusivi”, nonostante l’interesse di alcune famiglie e la gioia dei loro bambini, non siamo riusciti a coinvolgere nessuno. Ci siamo infatti trovati di fronte il “boss” del campo che voleva “fare progetti” col comune, che voleva “lavorare” per noi, che insomma era interessato a tutto purchè tutto passasse attraverso di lui, che già guadagnava facendo pagare le baracche, i posti letto, l’elettricità, l’acqua e l’immancabile servizio-bar del campo.
Abbiamo descritto questa situazione a tutti quelli che, in forme diverse, per mandato istituzionale o per militanza associativa, lavorano con i tanti rom che risiedono più o meno illegalmente in questa parte della città;  abbiamo riportato le tante, tantissime voci che già dal 2007 ci raccontavano lo sfruttamento della prostituzione, anche minorile, la riduzione ad uno stato di semi-schiavitù di diversi uomini, e poi le intimidazioni, le minaccie e i maltrattamenti a cui erano sottoposti gli abitanti del campo; abbiamo anche segnalato che il “boss” in questione era, ed è, regolarmente residente in un vicino campo autorizzato del comune di Roma e applicava lo stesso modello di gestione anche in altri “campi abusivi” dell’area; infine, in un convegno di antropologi dell’ottobre 2009, un intervento ha analizzato i meccanismi di sfruttamento economico che proprio nei campi abusivi della magliana si realizzano in tutta la loro violenza e sistematicità.
Oggi tutto questo è sulla cronoca dei giornali perché un bambino paga con la vita il conto della miseria e dello sfruttamento fra poveri.
Eppure il campo di via morselli è lì almeno dal 2007, sul terreno di un privato inspiegabilmente disinteressato all’area.
Eppure già nel maggio dello scorso anno, in piena “emergenza nomadi”, un altro bambino moriva tragicamente nello stesso campo, investito accidentalmente da un automobilista mentre si recava con la madre a caricare acqua.
Eppure, nonostante “l’emergenza nomadi” e contrariamente a quanto dichiarato dal delegato del sindaco per la sicurezza Ciardi, quel campo non è mai stato sgomberato; il controllo costante di cui le autorità comunali oggi parlano si è, al limite, fermato alla numerazione delle baracche e per garantire sicurezza e igiene, l’amministrazione vi ha collocato gli stessi contenitori per l’immondizia che si trovano all’ingresso dei campi autorizzati.
Eppure, se non fosse per le usuali tragedie, nei “ campi abusivi” di roma entrano soltanto le forze dell’ordine, paracadutisti o vigili urbani che comunque preannunciano lo sgombero, previo fotosegnalamento, e gli operatori della croce rossa con i loro aiuti umanitari. E anche oggi, dopo la morte di Mario, per gli altri “abusivi” del campo di via morselli non si prevede altro che un’accoglienza temporanea in un centro del comune di Roma, qualche notte al sicuro per poi tornare in strada a costruire baracche e ripari di fortuna.
A noi sembra che anche questa morte sia il prodotto dell’assenza di politiche reali in grado di incidere sulle quotidiane condizioni di vita dei rom dei “campi abusivi” e della complementare attenzione strumentale al tema, quella di chi programma sgomberi per tornaconto elettorale, reclamando espulsioni alla Sarkozy per garantire decoro e sicurezza, immaginando come soluzione alla precarietà abitativa soltanto nuovi campi autorizzati, campi in cui rinchiudere i rom, da posizionare abbastanza lontano dagli elettori per dimenticare il problema.
A noi sembra che le lacrime di oggi per Mario, così come quelle di ieri per altri uomini, donne e bambini rom, siano parte di un copione già letto, quello che dopo il lutto rituale prevede la richiesta di altri sgomberi o, al limite, il colpevole disinteresse, quel silenzio assordante dentro cui un altro boss potrà fare il suo profitto. Senza che davvero dei tanti altri come Mario qualcuno si assuma in tempo la responsabilità.

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