Articolo 21 - Editoriali
Agguato a Belpietro. Alcune cose da capire
di Domenico Valter Rizzo
Un uomo, che indossa una camicia grigioverde e una tuta da ginnastica. Così viene descritto il presunto attentatore a Maurizio Belpietro. Un uomo pronto a far fuoco, messo in fuga solo grazie all’intervento del capo scorta del direttore di Libero. L’episodio di per se è inquietante, apre scenari foschi, evoca tragedie come quella di Marco Biagi o di Massimo D’antona. Un episodio che, se effettivamente fosse riconducibile ad una matrice terroristica o anche semplicemente criminale, sarebbe gravissimo e meriterebbe la più assoluta esecrazione espressa senza se e senza ma.
Detto questo, occorre esaminare con una certa attenzione le fasi della dinamica che è sta resa nota perché alcune cose non tornano.
Il direttore di Libero rincasa attorno alle 22. Sale sino al suo pianerottolo accompagnato dal capo scorta. Un comportamento abituale, facilmente controllabile da chi avesse voluto organizzare un agguato. Il capo scorta ogni sera scendeva usando, come è logico per chi si trova ad un piano alto, l’ascensore. Chi avesse voluto colpire Belpietro doveva dunque solo acquattarsi al piano di sotto, attendere che il capo scorta andasse via in ascensore e quindi salire, bussare alla porta e colpire. Un manovra semplice e decisamente lineare.
In effetti il presunto attentatore segue questo comportamento. Aspetta al piano inferiore arma in pugno, pronto a colpire. A questo punto avviene l’imprevisto. Il capo scorta scende per le scale, colto da un improvviso desiderio di fumare una sigaretta e intercetta l’intruso. L’uomo punta l’arma. Preme il grilletto, ma l’arma si inceppa. Il capo scorta allora estrarre la sua pistola e fa fuoco tre volte in aria, mettendo in fuga l’attentatore, che si precipita giù e fa perdere le sue tracce usando una delle diverse uscite del palazzo.
Questa la ricostruzione ufficiale. Queste invece gli interrogativi che ne derivano.
1) è stato detto che l’attentatore era travestito da finanziere. La camicia grigioverde e la tuta da ginnastica non fanno pensare ad un travestimento, semmai ad un abbigliamento comodo e poco vistoso, perfetto per dileguarsi;
2) il presunto attentatore – sempre secondo le notizie finora diffuse – avrebbe puntato la sua arma contro l’agente di scorta e avrebbe addirittura premuto il grilletto. Resta da capire come abbia fatto l’agente a capire con certezza che ha premuto il grilletto:
3) L’agente spara in aria. Perché non spara addosso all’aggressore? E’ un agente addestrato e ha precise regole di comportamento davanti ad un pericolo concreto come può essere quello rappresentato da un uomo armato che gli punta contro l’arma. Ma non le rispetta. Quella che viene riferita è una scelta che va in rotta di collisione con le regole di ingaggio di qualsiasi Polizia o servizio di sicurezza del mondo. Di fronte ad un arma puntata e per di più di fronte ala manifesta volontà di far fuoco, qualunque agente non spara in aria. Fa fuoco cercando di neutralizzare l’aggressore. Da aggiungere che l’agente di scorta ha come principale missione la salvaguardia della persona che deve tutelare. Se si trova di fronte un aggressore armato che gli punta contro l’arma deve fermarlo, non solo per salvarsi la vita, ma perché se egli fosse neutralizzato, non vi sarebbe più nessuno a salvaguardare la vita della persona tutelata.
4) Non regge neppure il fatto che l’arma dell’aggressore appariva inceppata, perché non poteva in alcun modo escludersi che l’aggressore avesse con se una seconda arma. I killer di mafia, ad esempio, quando agiscono portano sempre con loro due armi, proprio nell’eventualità che una si inceppi.
Interrogativi semplici, che meriterebbero risposte altrettanto semplici e precise in modo da spiegare una situazione che se effettivamente fosse da addebitare ad una volontà di colpire il direttore di Libero aprirebbe scenari pericolosi ed inquietanti, ma se invece portasse in una direzione diversa aprirebbe scenari non meno inquietanti e non meno pericolosi.
Detto questo, occorre esaminare con una certa attenzione le fasi della dinamica che è sta resa nota perché alcune cose non tornano.
Il direttore di Libero rincasa attorno alle 22. Sale sino al suo pianerottolo accompagnato dal capo scorta. Un comportamento abituale, facilmente controllabile da chi avesse voluto organizzare un agguato. Il capo scorta ogni sera scendeva usando, come è logico per chi si trova ad un piano alto, l’ascensore. Chi avesse voluto colpire Belpietro doveva dunque solo acquattarsi al piano di sotto, attendere che il capo scorta andasse via in ascensore e quindi salire, bussare alla porta e colpire. Un manovra semplice e decisamente lineare.
In effetti il presunto attentatore segue questo comportamento. Aspetta al piano inferiore arma in pugno, pronto a colpire. A questo punto avviene l’imprevisto. Il capo scorta scende per le scale, colto da un improvviso desiderio di fumare una sigaretta e intercetta l’intruso. L’uomo punta l’arma. Preme il grilletto, ma l’arma si inceppa. Il capo scorta allora estrarre la sua pistola e fa fuoco tre volte in aria, mettendo in fuga l’attentatore, che si precipita giù e fa perdere le sue tracce usando una delle diverse uscite del palazzo.
Questa la ricostruzione ufficiale. Queste invece gli interrogativi che ne derivano.
1) è stato detto che l’attentatore era travestito da finanziere. La camicia grigioverde e la tuta da ginnastica non fanno pensare ad un travestimento, semmai ad un abbigliamento comodo e poco vistoso, perfetto per dileguarsi;
2) il presunto attentatore – sempre secondo le notizie finora diffuse – avrebbe puntato la sua arma contro l’agente di scorta e avrebbe addirittura premuto il grilletto. Resta da capire come abbia fatto l’agente a capire con certezza che ha premuto il grilletto:
3) L’agente spara in aria. Perché non spara addosso all’aggressore? E’ un agente addestrato e ha precise regole di comportamento davanti ad un pericolo concreto come può essere quello rappresentato da un uomo armato che gli punta contro l’arma. Ma non le rispetta. Quella che viene riferita è una scelta che va in rotta di collisione con le regole di ingaggio di qualsiasi Polizia o servizio di sicurezza del mondo. Di fronte ad un arma puntata e per di più di fronte ala manifesta volontà di far fuoco, qualunque agente non spara in aria. Fa fuoco cercando di neutralizzare l’aggressore. Da aggiungere che l’agente di scorta ha come principale missione la salvaguardia della persona che deve tutelare. Se si trova di fronte un aggressore armato che gli punta contro l’arma deve fermarlo, non solo per salvarsi la vita, ma perché se egli fosse neutralizzato, non vi sarebbe più nessuno a salvaguardare la vita della persona tutelata.
4) Non regge neppure il fatto che l’arma dell’aggressore appariva inceppata, perché non poteva in alcun modo escludersi che l’aggressore avesse con se una seconda arma. I killer di mafia, ad esempio, quando agiscono portano sempre con loro due armi, proprio nell’eventualità che una si inceppi.
Interrogativi semplici, che meriterebbero risposte altrettanto semplici e precise in modo da spiegare una situazione che se effettivamente fosse da addebitare ad una volontà di colpire il direttore di Libero aprirebbe scenari pericolosi ed inquietanti, ma se invece portasse in una direzione diversa aprirebbe scenari non meno inquietanti e non meno pericolosi.
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