di Pietro Nardiello
La storia della FIAT e quella del nostro Paese prescindono l’una dall’altra. Entrambe le cose rappresentano due facce della stessa medaglia. La fabbrica torinese ha significato un punto di arrivo per un numero imprecisato di famiglie italiane, mentre politica ed economia da essa dipendevano e in parte continuano a dipendere. Dire Fiat significa anche raccontare di contadini che diventano operai, di campagne che si svuotano e di condomini che invece si riempiono. Ecco perché parlare di FIAT non vuol dire chiosare sui fatti di una normale azienda.
Oggi, comunque, non è una data come tutte le altre ma esattamente il 30esimo anniversario della marcia dei 40.000, dei colletti bianchi, dei quadri intermedi, di quelli, cioè, che dopo 35 giorni di sciopero, gli operai erano in lotta per impedire all’azienda, ai padroni 15.000 licenziamenti, decisero di sfilare per le strade di Torino chiedendo “semplicemente, di poter tornare a lavorare”.
Trent’anni sono tanti e sufficienti per capire anche quanto sta avvenendo oggi ma, soprattutto, in quel di Pomigliano e Melfi. Due libri entrambi pubblicati da Daniela Piazza Editore, “Meno Agnelli, più Fiat”, di Giacomo Ferrari e “Il Giorno dei colletti bianchi” di Luca Ponzi, possono introdurci nel tempio degli Agnelli, anche se John Elkann, l’attuale presidente del gruppo, ha dichiarato che per la Famiglia è preferibile “essere azionisti più piccoli di una società più grande”, e aiutarci in questo difficile esercizio che ci dovrebbe aiutare a rimanere equidistanti.
Certamente quel 14 ottobre di trent’anni fa, che in tanti considerano una giornata di marcia silenziosa organizzata dai vertici FIAT, ha sicuramente invertito il corso della storia accendendo i riflettori su quello che si considerava, come si legge proprio nel buon racconto di Ponzi “il ben più grande partito della voglia produrre” sancendo una sconfitta del sindacato. I cancelli riaprirono e la produzione riprese ma dopo quattordici anni la FIAT, “causa esubero” licenziò 6600 impiegati, molti dei quali protagonisti di quella marcia “che salvò la FIAT”.
Come commentare il comportamento della FIAT oggi, guidata dal “creativo” Marchionne che “vuole assicurare un domani alla FIAT, che “ha fatto della flessibilità un credo” e che ha fatto diventare l’azienda torinese “un motore di un’alleanza internazionale?”
Guardando la spaccatura creata all’interno della fabbrica di Pomigliano e quanto, poi, avvenuto a Melfi con il mancato reintegro degli operai ingiustamente licenziati, non si possono non condividere le parole di Diego Novelli, che dalle colonne de Il Fatto Quotidiano evidenziava come l’azione dell’azienda intavolata oggi ricorda proprio quella di trent’anni fa? Come non condividere questa tesi? Siamo in un mondo in cui la produzione rappresenta il primo obiettivo e l’uomo, invece, un semplice mezzo per raggiungere il massimo profitto. Dopo trent’anni siamo punto e a capo.