di Valter Vecellio
Tre notizie che non fanno “notizia”. Non sono divertenti, e dunque poco interessanti.
La prima: la Procura di Torino ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta nei confronti di Piera Varetto, l’infermiera accusata di aver praticato l’eutanasia con una iniezione letale su un paziente che per un tentativo di suicidio aveva riportato danni ormai irreversibili. La vicenda risale all’agosto del 2009 e venne denunciata dal responsabile del Reparto di terapia intensiva dell’ospedale San Giovanni Bosco.
L'infermiera aveva sempre negato tutto. Il dottor Carlo Alberto Castioni, responsabile del reparto di terapia intensiva, aveva detto che l’infermiera, per sua stessa ammissione, aveva somministrato al paziente, Sandro L., 400 mg di Diprivan, un dosaggio "sicuramente incongruo" e che, in ogni caso, doveva essere preceduto da una prescrizione medica.
La donna venne così indagata per omicidio volontario. Ha sempre respinto le accuse, negando di aver mai pronunciato la frase che le veniva attribuita, e spiegando di essersi limitata a una iniezione di 5 ml "per evitare che il paziente sentisse che la vita se ne stava andando". I testimoni ascoltati dai magistrati hanno dato versioni contrastanti: qualcuno ha accreditato il racconto di Castioni, altri quello dell’infermiera.
I tre consulenti tecnici interpellati dalla procura (un primario di rianimazione, un medico legale e un tossicologo) "non hanno fornito – si legge nella richiesta di archiviazione – alcun elemento decisivo di conferma né dell’ipotesi della somministrazione di una dose letale di Dirpivan, né della versione difensiva di soli 5 ml". Gli esperti, comunque, hanno escluso qualsiasi "nesso causale" fra il prodotto e il decesso, dovuto alla quantità di farmaci che per togliersi la vita Sandro L. aveva ingerito volontariamente; e hanno sottolineato che "le cure e le terapie" adottate al San Giovanni Bosco furono "appropriate e coerenti con le linee guida internazionali cardiopolmonare".
Per i magistrati, dunque, le prove raccolte non bastano per un processo. Anche perché, se è vero che Castioni ha fornito un resoconto "preciso" e "in buona fede", non si capisce il motivo della "confessione" dell'infermiera: "Non ha senso ammettere pubblicamente una grave violazione dei propri doveri professionali" con una condotta che potrebbe portare a un’incriminazione "per un omicidio che nessuno, date le particolari condizioni del paziente, avrebbe mai potuto scoprire".
La seconda notizia ci porta a Frosinone. E’ morta perché il suo cuore di ottantenne era troppo stanco per battere ancora, e non perché la sua badante l’avesse massacrata di botte. Eppure sono stati necessari due anni e otto mesi per individuare un infarto, e assolvere dall’accusa di omicidio volontario Adriana Vasilica Iacob, romena, condannata in primo grado a quattordici anni di reclusione con l’accusa di aver ucciso Paola Iori, 81 anni. Due anni e otto mesi che Adriana ha trascorso in carcere, gridando inutilmente la propria innocenza.
I giudici della Corte d’Assise di Frosinone avevano ritenuto che la badante romena avesse massacrato Paola, infierendo con calci e pugni sul corpo della donna. Una ricostruzione smentita dal perito nominato dalla Corte d’Assise d’appello di Roma. Il medico ha chiarito come la scomparsa dell’anziana signora, deceduta l’8 gennaio del 2008, fosse un evento naturale, la cui colpa andrebbe attribuita all’età avanzata e alla stanchezza del cuore.
Invece poco dopo l’ora di cena del gennaio di due anni fa, Adriana era finita in manette, con l’accusa di omicidio volontario. Gli inquirenti erano certi di trovarsi davanti a una badante romena feroce e violenta. Nel corso delle indagini, erano state anche alcune testimonianze dei vicini di casa, raccolte dalle forze dell’ordine, a tratteggiare il profilo di un’assassina. Gli inquilini avevano raccontato agli inquirenti di aver ascoltato una lite furiosa tra la donna e Adriana, proprio la sera della morte di Paola Iori. Elementi che mettono Adriana sotto accusa e portano la procura sulla pista del pestaggio come causa della morte di Paola. Sul corpo dell’anziana signora, tra l’altro, furono individuate diverse fratture, sparse tra il torace e le braccia. Come delle fratture al torace e alle braccia si trasformino in calci e pugni non è dato sapere; e come mai siano occorsi ben due anni e otto mesi per accertare un infarto, non viene spiegato.
Fatto è che mentre Adriana si professa innocente, né il Pubblico ministero né i giudici della Corte d’Assise di Frosinone vengono sfiorati dal dubbio che la donna dica la verità, che lei non c’entra, non ha fatto nulla. Adriana è condannata a quattordici anni di reclusione con l’accusa di omicidio.
Per fortuna l’avvocato della badante è un tipo ostinato. Così, quando cominciano le udienze d’appello, la prima istanza avanzata dal difensore è quella di una consulenza sul cadavere dell’anziana, per accertare le cause del decesso. La perizia scagiona Paola dalle accuse, Paola Iorio è morta per un infarto. L’anziana si è procurata le fratture sul corpo cadendo a terra, proprio a causa del suo cuore malato.
Infine il terremoto in Abruzzo. La popolazione delle aree terremotate nell’arco dei prossimi 20 anni sarà esposta al rischio di tumori dovuti all’inalazione di amianto che rischiano di diventare "una seconda piaga". E' l’allarme lanciato dal professor Mario Di Giovacchino, docente dell'Università di Chieti a margine di un convegno INAIL dedicato ai tumori professionali e agli infortuni sul lavoro.
L'asbesto, conosciuto comunemente come amianto, è 1.300 volte più sottile di un capello umano: "Sebbene l'impiego di questo elemento – spiega Di Giovacchino – sia fuori legge in Italia dal 1992, tanti palazzi all’Aquila, fra quelli che hanno registrato i crolli, hanno sparso moltissimo amianto nell'aria". Una situazione analoga, ricorda, è stata registrata a seguito dell’attentato alle Torri Gemelle a New York l’11 settembre 2001. Il rischio è quello "che prima che compaiano patologie di questo tipo possano passare diversi anni dall’inalazione, perché allo stato attuale molecole di questo non sono state ancora isolate". Di qui, la necessità di "sottoporre a diagnosi quante più persone possibili effettuando un grande lavoro di monitoraggio di prevenzione". Un'operazione che dovrebbe essere condotta parallelamente allo smaltimento di rifiuti e macerie.
Tre notizie, si diceva, che non fanno “notizia”. Cominciano a costituire un corposo “dossier”; perché nell’avvilente spettacolo che viene offerto dall’informazione parlata, visiva e scritta, non ci sono solo le liti da cortile tra parlamentari della maggioranza, le sconcertanti “uscite” del presidente del Consiglio e dei suoi sodali, il morboso insistere su vicende come il delitto di Avetrana dove si spacciano come “eventi” notizie già note perché “comunque fa spettacolo”; poi si fa la faccia sorpresa quando trasmissioni come quella di Fabio Fazio e Roberto Saviano fanno il boom di ascolti, a scorno anche di critici televisivi ed esperti laureati e “intelligenti”…