di Maurizio Calò
A vedere riprodotta, nero su bianco, l’impressione che il nostro Premier fa sulla scena internazionale non si prova stupore, ma un mesto sentimento di vergogna con il rossore che affiora sulle guance. “Vanitoso, incapace, portavoce di Putin. Fisicamente e politicamente debole, stanco per i troppi wild party”.
Viene spontaneo di cercare il colpevole di questa figuraccia di fronte al mondo e, stranamente, non viene in mente di pensare, per primo, al popolo elettore sovrano quanto, piuttosto, al Vaticano che, dall’alto della sua influenza sulla vita politica di questo strano Paese, ha permesso e permette tuttora che a comandarlo sia chi di sé offre questa immagine di scarsa moralità pur ospitando il maggior tempio della cristianità.
E’ questa un’istintiva conclusione che sembra offrire una risposta a tutto il malessere che avvolge l’Italia.
Se d’impulso viene di dare la colpa all’incoerenza del Vaticano, significa che l’Italia si percepisce ancora come un Paese sotto tutela, in cui poteri forti, da quelli della religione a quelli malavitosi a quelli affaristici, si contendono la maggioranza delle preferenze elettorali mentre solo un’esigua minoranza si preoccupa del bene comune.
Le cronache, poi, influiscono nel percepire minimi comun denominatori tra quei poteri “forti”.
Il malavitoso De Pedis è sepolto con un rito speciale in una chiesa dopo essere stato implicato del sequestro e conseguente scomparsa di Emanuela Orlandi, figlia di lavoratori del Vaticano; negli scandali dei pubblici appalti emergono personaggi che hanno raggiunto in Vaticano livelli altissimi; il Vaticano si è mostrato per decenni indulgente verso taluni vizi di suoi sacerdoti; Berlusconi, con i suoi viziosi party a base di bunga bunga, governa in quell’Italia in cui il Vaticano ha fortissime influenze.
L’impressione che il popolo sovrano sia solo un alibi per continuare a “gestire” gli italiani affiora sempre più nitida.
Se poi si considera che di fronte a questi scandali la difesa di Berlusconi consiste nell’affermare che è tutto gossip, tutto una bufala, che non è vero niente, si rischia di dimenticare che i file di Wikileakes rappresentano l’emergere di quanto è stato riportato segretamente alla Casa Bianca da chi istituzionalmente deve occuparsi dall’esterno degli avvenimenti in Italia.
Quei file sono lo specchio in cui si riflettono, oltreoceano, gli accadimenti di casa nostra e, purtroppo, sono tutti univoci nel descrivere un’Italia ben nota a quella parte degli italiani che non si fa anestetizzare dalle fiction e narcotizzare dai TG1 e TG5 che descrivono un Paese dei Balocchi a chi è troppo preso dai problemi quotidiani per avere tempo di leggere i giornali, di navigare su Internet o di fruire, almeno, di quella freepress che in provincia non arriva e che nelle metropoli, invece, costituisce il passatempo preferito delle trasferte sui mezzi pubblici.
Occorre prendere atto che c’è un notevole divario nella distribuzione dell’informazione nel Belpaese e che la mancata soluzione del conflitto di interessi costituisce la colpa originaria della sinistra che ha privato una gran parte della popolazione italiana, se non di strumenti imparziali, quanto meno equilibratamente pluralisti per formarsi un’opinione. I Radicali ne sanno qualcosa.
Quello che da tutto il mondo oggi si percepisce dell’Italia, è un vertice operativo corrotto, inaffidabile e ricattabile a tutti i livelli più importanti e più rappresentativi politicamente.
Dai file di Wikileakes, tuttavia, non appare il marcio italiano in tutta la sua esatta estensione (ancora). E potremmo quasi dire che, tutto sommato, ci è andata bene a noi italiani (per ora).
Ma non si pensi che tutto questo squallore appartenga solo al Palazzo e non abbia ricadute sulla vita quotidiana.
Chi frequenta il mondo dell’immigrazione sa che quando un Paese è in crisi, quelle che l’abbandonano sono sempre le forze migliori, i giovani più preparati, più intraprendenti, più coraggiosi, più curiosi. In Italia non c’è famiglia borghese che non si sforzi di aprire ai propri figli più capaci il panorama internazionale, soprattutto di quei Paesi emergenti dove l’entusiasmo dello sviluppo è trainante e attraente, dove il merito trova il giusto apprezzamento, dove chi vale ha la possibilità concreta di emergere. Sempre più frequentemente ci viene ricordato che noi siamo un Paese che spende molto per la cultura dei suoi giovani i quali, poi, vedono aprirsi le porte di un lavoro soddisfacente solo all’estero. E’ un fenomeno preoccupante, che occorre arginare al più presto spezzando la catena dei clientelismi e delle parentopoli che fiaccano la fiducia nelle istituzioni, indeboliscono la coesione nazionale, offrono linfa vitale al populismo e al qualunquismo.
La vera emergenza italiana oggi non è tanto Berlusconi, la cui ingravescente megalomania è talmente palese da costituire, di fronte al mondo, più una giustificazione che un imbarazzo, quanto il berlusconismo, cioè la proiezione e l’accettazione, dapprima nelle istituzioni e sempre più nell’animo degli italiani, di quell’abbandono delle regole della vita consociativa e di quell’arrembaggio al potere senza alcuna remora morale che ne costituiscono l’essenza.
E’ di vitale importanza, per la democrazia, recuperare la fiducia e l’affidabilità delle istituzioni e stupisce che, per provarci sul serio, le massime speranze siano ora da affidarsi a Fini, Casini, Rutelli e Rotondi, cioè a coloro che, tra partecipazione al berlusconismo e al clericalismo, non sembravano fino a poco tempo fa grandi campioni dei valori democratici e liberali.
I file di Wikileaks si fermano all’inizio del 2010. Cosa daremmo per leggere quelli della fine dell’anno...
*Presidente dell’Associazione Migrare – www.migrare.eu