di Ennio Remondino
Di vissuto condiviso con Emilio Rossi avevo soltanto la città di nascita. Con quella faccia un po' così che abbiamo noi che -storpiando Paolo Conte- siamo nati a Genova. La città un po' musona sentita alla De Andrè. Di condiviso idealmente molto di più, anche se vissuto su fronti politicamente lontani. Condivisione senza mai doversela raccontare, come accade solo tra genovesi. Lui troppo “direttore” e io troppo cronista per cercare l'occasione per filosofare. Bella scuola quella evocata in Rai anche dal Presidente Garimberti. “Il Corriere Mercantile”, come inizio per loro due. Poi Emilio Rossi al “Nuovo Cittadino”, giornale della curia di Giuseppe Siri, più volte mancato Papa e vero “Principe della Chiesa”, e infine il Tg1. Io sono partito dal più laico “Secolo XIX” e sono arrivato molto meno lontano di loro, ma sempre in quella Rai che da Emilio Rossi molto ha ereditato. Al Tg1 che Emilio Rossi aveva lasciato ad Albino Longhi.
Leggo Barbara Scaramucci, con lei e moltissimi altri ho ascoltato le rievocazioni e i ricordi. Non racconto di Emilio Rossi per non fare coro con parole inadeguate. Non l'ho conosciuto abbastanza. Vorrei soltanto dire del 'groppo alla gola', della rabbia dentro, che mi sono portata via dal Salone degli Arazzi, Viale Mazzini 14. Ultimo tra molti altri presenti in sala che entra in Rai col tesserino di ospite e, questo è il problema, in questa Rai -scusi Presidente Garimberti- gran parte dei presenti si sono ritrovati ospiti soltanto per riguardo del passato. Non per il suo presente. C'erano nomi da leggenda del giornalismo televisivo in bianco e nero e c'erano i bravi e solidi artigiani cresciuti a quella scuola. Maestri di mestiere e a volte di vita. Albino Longhi che ancora non mi perdona di non avergli fatto da vice nella sua terza direzione al Tg1, e il “fratello maggiore” Roberto Morrione, con cui ho avuto la fortuna di condividere un giornalismo da matti.
Cara Barbara e cari tutti quei Vecchi Arnesi di una Vecchia Rai ormai sepolta. A lenire rimpianto e rabbia, soltanto la consolazione di alcune assenze. Il senso dell'opportunità di alcuni “vertici” attuali che ci hanno risparmiato la loro presenza. Come poter condividere qualcosa con i telefonisti da “Grande Fratello”? Come riconoscersi in certe direzioni da trasferta mondana? Grazie per non essere venuti. Non sareste stati graditi. Chi non è venuto sa. Chi c'era, anche. Forse un lieve eccesso di elegia tardo democristiana, potremmo ammettere. Io che democristiano non ero di certo, non ne ho provato fastidio. Primo perché dell'Emilio Rossi raccontato esaltava l'uomo di rigore personale e non l'uomo di appartenenza. Più cristiano che democristiano, a dirla tutta. Poi perché, di quella eventuale “democristianità” istituzionale raccontata da molte testimonianze, sinceramente oggi uno prova rimpianto. Confessione ma non conversione la mia.