di Giuseppe Cadeddu*
«È terribile perdere la libertà ma è ancora più terribile perdere l'idea della libertà»: la citazione è di George Lakoff ma può valere come manifesto dell'Associazione Articolo 21 che da dieci anni, in Sardegna da sei, informando promuove e difende il diritto principe di ogni libertà e attraverso cui tutto passa: quello all'informazione.
Di concerto con la Fondazione Banco di Sardegna e Scienze Politiche, Articolo 21 proprio in facoltà ha avviato l'altra sera il primo dei quattro incontri pubblici con l'intento di portare - o spostare - l'attenzione su temi troppo spesso marginali nei media generalisti: la Costituzione (con la volontà di “lavorare per la conoscenza della Costituzione”), le libertà, la comunicazione, i diritti, il pluralismo, la democrazia, ovvero i principi fondanti di tutte le società libere e moderne. I prossimi incontri verteranno su “Diritto di cronaca e diritto della riservatezza tra stampa e televisioni” (31 marzo), “Stampa e televisione in Sardegna” (21 aprile) e, a maggio, “Internet e nuovi media: opportunità e pericoli”. Un po' seminario, un po' lectio ma anche possibilità di incontro, confronto e racconto tra le esperienze e le opinioni dei relatori e quelle del pubblico - numerosi i giovani in sala - che ha ascoltato ed è intervenuto alle sollecitazioni dei relatori. Presenti la preside della facoltà, Paola Piras, e i docenti Andrea Deffenu e Pietro Ciarlo, lo storico Gianluca Scroccu, il magistrato Mario Marchetti, i giornalisti Ottavio Olita e Romano Cannas e i rappresentanti di Articolo 21: la presidente Gianfranca Fois e il portavoce nazionale Giuseppe “Beppe” Giulietti.
Nella relazione Giulietti ha espresso subito un punto cardine: la libertà nel mondo non è acquisita mai ma è uno stato di tensione permanente. Tenere sempre vivo il fuoco insomma e mai abbassare la guardia e, meno che mai, dare la libertà per scontata o persino ovvia. Il rischio è alto: perdere l'idea stessa di libertà oppure vederla limitata, ridotta, edulcorata o, peggio, confusa e distratta. Per stare sulla comunicazione multimediale, i 1000 canali tv e altrettanti giornali possono fornire un'idea di pluralismo ma non necessariamente idee pluraliste. E a questo non giova la concentrazione in poche mani degli organi di informazione. Cita “Citizen Kane” di Orson Welles e riguardo lo stato di salute dell'informazione in Italia ecco i rapporti dell'agenzia Freedom House e di Reporter Sans Frontières che relegano l'Italia nelle posizioni basse della classifica. «La tv - dice Giulietti - non è un carro armato ma se propone dei modelli che si affermano come vincenti e la logica del “così fan tutti” non è neppure un innocuo elettrodomestico ma propone un pensiero unico televisivo e veicola visioni, schemi, consensi».
Che fare? Riprendersi i luoghi pubblici (per esempio ritrovandosi nelle piazze il prossimo 12 marzo senza bandiere di parte ma solo col tricolore e la Costituzione), non subire passivamente e acriticamente i messaggi che arrivano dai media, non usare gli stessi linguaggi degli avversari ma, se necessario, difendere anche la loro libertà di espressione e non lasciare la comunicazione solo ai giornalisti ma piuttosto proporre nuovi alfabeti e nuove espressioni. Può bastare? No, perché la politica deve fare la sua parte e finora è stata miope. Secondo il relatore non c'è stata una riforma seria del sistema radiotelevisivo e l'opposizione ha voluto perdere, non capendolo e sottovalutandolo, il grande tema del conflitto di interessi. Perché il pensiero unico televisivo e la contrazione di informazione - dice Giulietti - passano anche attraverso il pericolo « ...dell'omicidio di Avetrana a reti unificate e a tutte le ore». Eh già, ma se le storiche “3 S” (sesso, sangue, soldi) del giornalismo vincono da sempre a mani basse - persino sulle dotte ipotesi delle “3 C” (contenuti, credibilità, creatività) individuate nel libro “L'Ultima notizia” di Gaggi e Bardazzi - la cosa, da non facile, si fa complicata. Vai un po' a capire...
*“L’Unione sarda” di sabato 26 febbraio 2011