di Filippo Vendemmiati
Fischia che sembra una tuta blu. Si chiama Silvia, fa la quinta elementare. Apre il corteo dei diecimila che a Bologna chiama in piazza per promuovere la costituzione e difendere la scuola pubblica. Insieme a Silvia altri giovani fischietti uniti da un lungo striscione arancione: Noi siamo il diritto allo studio, noi siamo la scuola pubblica. E’ un corteo che vale la pena raccontare pezzo per pezzo, persona per persona. E non sono solo bambini quelli che vanno in piazza per la prima volta. Giacomo, che va all’asilo e che quest’anno ha perso il tempo pieno, dorme beato sul passeggino ma ci pensa la nonna a portarselo lungo via Indipendenza: “La mia voce è per lui, perché voglio per lui la stessa scuola che ho avuto io e di cui sono fiera”. Così si scopre che in questa Italia martoriata e corrotta c’è ancora gente che va fiera di esserci. “ Ho figli grandi, dice un avvocato, sono fiera che abbiamo frequentato una scuola pubblica”. “Sono fiera di essere un insegnante, commenta felice una donna, un mestiere che oggi sembra essere una vergogna. Io provo amore per la scuola” I genitori, presidenti dei circoli d’istituto, avanzano dietro lo striscione “Questa volta ci esponiamo”, perché “contro un simile attacco alla scuola pubblica non possiamo non prendere posizione”. Tante maestre e le loro classi, oggi le lezioni si fanno qui. “Nessuno a scuola è straniero”, recitano i loro cartelli, “A scuola non si inculca, si educa”. “Sono radicalchic, dice una signora che sembra aver deviato dalla vasca dello shopping del sabato pomeriggio. Sono radicale, perché voglio andare alla radici dei valori fondanti del nostro vivere civile”. Sfila l’orgoglio di esserci in questa scuola che nonostante tutto sembra resistere, “La nostra è una scuola bella”, canta ad un certo punto la coda del corteo che tenta di entrare in Piazza San Francesco. Da Facebook escono in strada le mamme tricolore, vestite da vestali della costituzione, si fermano davanti alla statua di Garibaldi e a squarcia gola cantano l’inno d’Italia. Ivana, docente di lettere alle medie, è in piazza con un’amica e insieme portano un cartello scritto in proprio: Quando il sole della cultura è basso, i nani sembrano giganti. Dici la rabbia, anche la paura, ma almeno oggi non cogli espressioni demoralizzate, l’orgoglio ancora una volta vince l’amarezza. Come quello di Chiara, 39 anni, maestra da 17, che dal palco legge con passione un discorso scritto da dieci, mille, diecimila mani. “Noi siamo quelle che in autunno portiamo i bambini fuori a raccogliere le foglie, quelle che insegnano le stagioni per insegnare la vita. Dobbiamo usare il diritto di parola per far vedere che c’è un altro mondo. Non puoi non avere passione quando hai davanti i bambini e sei responsabile di come cresceranno. Berlusconi? Non lo stimo, quindi le sue parole non mi toccano”. Tiene in alto la costituzione la partigiana Carmen, le gambe quasi non la reggono nei due chilometri del corteo ma le braccia sono alte e tese e le sue parole inviolabili: “E’ dal 1943 che lotto per questo libretto qui, l’ho conquistato anche con il sangue della mia famiglia. Ho fatto decine di manifestazioni per impedire che ce lo portassero via. Guai a chi ce la tocca la nostra costituzione, che stiano attenti!”