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Articolo 21 - Editoriali
Libia: può l’occidente, che pure per settimane ha seguito con entusiasmo la rivoluzione in Libia, permettere una probabile mattanza?
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di Marco Calamai

Mancano pochi, forse pochissimi giorni. Sul piano militare, infatti, le truppe di Gheddafi stano avanzando rapidamente e le milizie ribelli, prive di armamento adeguato, non riescono a fermarle. Il mondo dunque, si trova di fronte ad una ipotesi drammatica ovvero alla concreta possibilità che il regime dispotico libico recuperi tutto il territorio, quindi anche le città strategiche di Tobruk e Bengasi, trasformando il paese, come è stato detto, in una immensa prigione.
E allora che fare? Può l’occidente, che pure per settimane ha seguito con entusiasmo la rivoluzione in Libia, permettere una probabile mattanza e la sconfitta di chi rischia la vita contro un regime sanguinario e corrotto oltre ogni limite? Dicono gli Stati Uniti e con loro molti paesi europei: non possiamo intervenire senza il consenso internazionale, ovvero il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E questo consenso non c’è. La Russia e la Cina, infatti, non vogliono l’intervento militare. E per Obama non è certo facile procedere in modo unilaterale come fece Bush in Iraq, con le conseguenze disastrose che tutti conoscono. Tuttavia è pur vero che qualcosa deve essere fatto. Almeno la “no fly zone” e il riconoscimento del governo degli insorti, come hanno già fatto pochi giorni fa Parigi e Londra, due dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu. Perfino la Lega Araba, tradizionalmente un ente inutile causa le sue divisioni interne, ha detto di essere d’accordo con la “no fly zone” chiedendo a sua volta una presa di posizione in questo senso del Consiglio di Sicurezza. Il quale, a quanto sembra, non pare tuttavia deciso ad agire con la fretta che richiederebbe l’attuale situazione in campo.
Lo scenario internazionale, quindi, appare ancora, a dir poco, incerto e confuso. E la situazione in Libia sta precipitando, con il rischio che ad un certo punto qualsiasi ipotesi di efficace intervento dall’esterno, venga decisa fuori tempo massimo.
Con quali conseguenze? In Libia è in gioco non solo l’esito dello scontro tra le milizie rivoluzionarie e le truppe (regolari e mercenarie) del dittatore e quindi il futuro politico del paese, ma anche l’immagine dei paesi che fino a questo momento hanno espresso  solidarietà politica verso i ribelli non nascondendo lo sdegno che si merita  il satrapo di Tripoli. Ovvero gli Stati Uniti, gran parte dei paesi europei (non tutti in verità come si evince dalle ambiguità del governo Berlusconi) e gran parte dei paesi arabi (anche qui non tutti perché a quanto pare Siria e Algeria starebbero aiutando il regime). Oggi, per la prima volta da decenni, sono proprio gli insorti libici e le masse arabe coinvolte nello tsunami libertario che attraversa un mondo che sembrava immobile e refrattario all’appello democratico, che sperano e chiedono un intervento dall’esterno. Si tratta di una occasione storica per chi davvero crede nella possibile affermazione dei valori democratici nel mondo arabo e musulmano. Una sconfitta della rivoluzione libica, d’altronde, non rappresenterebbe un enorme problema anche per le forze democratiche in Egitto e in Tunisia?
Può dunque l’Occidente rischiare una catastrofe politica di queste dimensioni? Siamo in molti, moltissimi, a sperare dunque in una forma di “ingerenza umanitaria” che impedisca la vittoria di Gheddafi e la terribile repressione che questa vittoria rappresenterebbe. I paesi occidentali e lo stesso mondo arabo non possono permettere che il cosiddetto “non intervento” che permise al generale Franco di vincere l’atroce guerra civile alla fine degli anni trenta in Spagna, si riproponga in Libia con le conseguenze tragiche che produrrebbe tale scenario sul piano interno ed internazionale.

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