di Dario Ganci*
Cosa hanno in comune Grecia e Islanda? Apparentemente nulla, ma se guardiamo con attenzione le cronache economiche degli ultimi tre anni riusciamo a cogliere qualche somiglianza. Entrambi i paesi sono stati tra i più colpiti dalla crisi sulla sponda europea dell’oceano, hanno visto crollare i loro Pil, arrivando a dichiarare bancarotta, incapaci di far fronte al loro debito pubblico.
Ma, se le manifestazioni e gli scontri di piazza Syntagma hanno riempito per settimane i nostri media, mostrandoci il popolo greco infuriato contro il governo e contro la durissima manovra finanziaria da questo varata, del crack islandese non ci sono giunte notizie o quasi.
Il silenzio su questa vicenda probabilmente nasce dalle piccole dimensione del paese nordico (appena 300.000 abitanti) o per le cifre coinvolte. O forse c’è un’altra motivazione più sottile e nascosta.
Per capire meglio la situazione è meglio fare un breve riepilogo.
Tra il 2000 e il 2008 l’Islanda ha visto crescere il proprio Pil con percentuali che non avevano eguali negli altri paesi occidentali. Questo era dovuto, in parte all’ottima organizzazione del sistema economico dell’isola, e dall’altro dalle enormi quantità di denaro che, grazie alle favorevoli fluttuazioni della Corona, affluivano nelle tre principali banche del paese.
Gran parte di questo denaro però era, in realtà, inesistente e frutto di ardite speculazioni finanziarie. Con l’esplosione della crisi dei mutui subprime, nel 2008, le banche islandesi si ritrovarono improvvisamente esposte per circa 10 miliardi di Euro, una cifra enorme per il piccolo paese nordico, e dovettero dichiarare la bancarotta.
Veniva così a mancare il carburante principale per il sistema economico. Il governo di coalizione di Geir Haarde, per tamponare la situazione, nazionalizza le tre principali banche del paese, svaluta la Corona e innalza il costo del denaro, ma è tutto inutile.
Nel 2009 l’Islanda, non potendo far fronte all’enorme debito contratto dalle banche dichiara la bancarotta e il primo ministro Haarde è costretto ad accettare un prestito di due miliardi di Euro dal Fondo Monetario Internazionale per scongiurare l’insolvenza.
In cambio il governo islandese vara una legge che prevede il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento di 3,5 miliardi di Euro somma che ricadrà su ogni famiglia islandese, mensilmente, per 15 anni e con un tasso di interesse del 5,5%.
Alla presentazione della legge esplode la rivolta popolare e il governo è costretto alle dimissioni.
Il nuovo governo a guida socialdemocratica, ritrova in eredità la legge sul debito ma, a causa di dissidi interni alla coalizione, non ne ferma l’iter in Parlamento. Nel febbraio 2011 Presidente Olafur Grimsson pone il veto alla ratifica della legge e annuncia il Referendum consultivo popolare che vedrà una schiacciante vittoria dei No (93%). Il debito viene dichiarato “detestabile” e quindi, per i cittadini islandesi, non esigibile.
Olafur Grimsson
La piccola Islanda, fieramente si è opposta ai giganti della finanza. Dopo il referendum ha istituito una commissione per stabilire le responsabilità del crack e il cui lavoro ha già portato all’arresto di numerosi banchieri e dirigenti e all’emissione di parecchi mandati di cattura internazionali. Ma silenziosa rivoluzione islandese non si è fermata a questo. In questi mesi nella piccola isola del Mare del Nord stiamo assistendo ad una dimostrazione di democrazia che ha pochi precedenti. Tenendo conto degli errori del passati e dei difetti evidenti della costituzione vigente, il governo ha deciso di modificarla radicalmente affidando la stesura del nuovo testo ai cittadini.
In Islanda sta nascendo la prima costituzione crowdsourcing della storia, cioè un testo realizzato dagli utenti della rete attraverso mail e social network, il tutto coordinato da un gruppo di 25 cittadini, eletti regolarmente, che presenterà la redazione finale al parlamento per la votazione.
In silenzio e nell’indifferenza del mondo occidentale, il popolo islandese sta attuando una vera rivoluzione.
Sta dimostrando che nelle moderne democrazie la sovranità popolare è un qualcosa di concreto e non un semplice concetto astratto, sta contrapponendo il potere della società civile e della cittadinanza al sistema politico, cambiandone le regole e gli assetti, sta facendo tornare nelle mani del popolo il suo futuro e quello della nazione.
Di tutto questo, in Europa se ne parla pochissimo, in Italia solo qualche giornale ha dato un breve cenno.
Perchè? C’è forse il timore fondato che il popolo dell’Islanda possa dare il buon esempio?
http://www.camminandoscalzi.it/wordpress/la-silenziosa-rivoluzione.html
Su segnalazione del gruppo FB Informare per resistere