di Marco Travaglio*
Nelle interviste televisive ad Al Tappone non sono interessanti le risposte (sempre le stesse balle). Ma le domande: aiutano a testare il regime. Difficile selezionare le più servili, nella maratona tv del Cainano, sempre accolto da dipendenti (o aspiranti tali) genuflessi. Memorabile la prestazione dell’ultimo arrivato A-lesso Vinci, il sostituto di Mentana licenziato per aver osato invitare Di Pietro (che da allora, unico leader politico, rifiuta gli inviti di Matrix per solidarietà a Mentana). Al primo assist travestito da domanda sulle foto in Sardegna, il padrone finge di arrabbiarsi: «Tu quoque Brute fili mi». A-lesso finge di risentirsi: «Non sono suo figlio». In effetti suo figlio è quello che gli dà lo stipendio. «Attento alle domande che fa, se no diranno che anche lei», fa il padrone. E il semiconduttore: «Non mi minacci». «Ma io - chiude Papi - la sostengo: sia cattivo». Cattivissimo è il dipendente di MattinoCinque, che lo ringrazia «per aver accettato di farsi intervistare». Ben gentile. Poi lo mette all’angolo con due uppercut: «Perché la demonizzano sul privato?», «perché il Times la attacca?». Com’è umano, lei. Infine, il colpo del ko: «Le maestranze chiedono cosa farà con Kakà». Sempre in forma l’insetto di Porta a Porta: «Perché la sua vicenda privata ha influenzato in modo così anomalo la campagna elettorale?». Fuori concorso Giuliana Del Bufalo, direttora di Rai Parlamento: «Ci resta un minuto, non c’è più tempo per altre domande». Lui: «Posso sfruttarlo io?». Lei: «Si figuri, lei è il padrone di casa». Anzi, se ha urgenza, le porto il pappagallo.
* l'Unità - 7 giugno 2009