di Elisabetta Reguitti
Xueguan camminava lungo il marciapiede di uno stradone di Milano stringendo il suo secondogenito avvolto in un asciugamano. I carabinieri li hanno prelevati: il padre è stato condotto al carcere di San Vittore con l’accusa di sequestro di persona. Il neonato riportato all’ospedale Sacco di Milano dove era nato da soli pochi giorni. Il piccolo è venuto al mondo con terribili complicazioni cardiache e sottoposto ad un intervento chirurgico a soli due giorni di vita. Il timore, un giorno, ha indotto il padre ad andare in ospedale a colpire la moglie che ha cercato di impedirgli di prendere il figlio e a scappare. A cercare un rifugio chissà dove. Xuegan, clandestino, ha avuto paura che dall’ospedale potesse scattare la denuncia e disperato ha scelto la fuga. Dalle sterminate campagne asiatiche al nascondiglio ricavato sotto la macchina da cucire di un anonimo laboratorio milanese. Trascorrendo le giornate a lavorare e le notti a dormire tra gli scatoloni. Xuegan, la moglie e il loro primogenito avevano vissuto così fino a quel momento. Poi la nascita del secondo figlio. Le gravi malformazioni e la terribile paura di perdere tutto (quel niente, forse, per noi ma che per Xueguan era tanto). Cosa aggiungere? Forse solo le parole di uno dei carabinieri che ha definito questa vicenda “una grande tragedia dell’immigrazione” nonostante non ci siano state “vittime”. E intanto avanzano i “vigilantes” e le ronde del nord mentre sospetto e delazione si diffondono nell’indifferenza.