Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - Editoriali
Tra le ville dei boss e i tuguri dei migranti*
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Nello Trocchia

«Lo vedete l’acquedotto? Arrivate e girate a sinistra, quella è la strada delle ville». La strada delle ville è via Enrico Toti, siamo tra Villa di Briano e Casal di Principe, in provincia di Caserta. In fondo a via Toti c’è una villa di tre piani, undici stanze, sontuosa e principesca. La reggia di Antonio Iovine, detto “o ‘ninno”, latitante e reggente con Michele Zagaria del clan dei Casalesi.

Costruita senza le necessarie autorizzazioni, abitata per anni anche dagli americani che lavorano nel casertano alla Us Navy. Una villa sequestrata nel 1998 confiscata, nel 2005, con sentenza della Corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere, ma affittata dalla madre di Iovine, nonostante tutto. E' intervenuto nuovamente, pochi giorni fa, il Gico della Guardia di finanza con un nuovo sequestro e un danno per l’erario di 100mila euro.

A Casal di Principe si viaggia tra le ville con le telecamere a circuito chiuso e lo sfruttamento a campo aperto. Basta allontanarsi dal centro abitato, distesa di cemento, e viaggiare verso le terre per trovare, tra scheletri di case incompiute, gli stagionali. Li porta qui la necessità ma anche la crisi in uno strano fenomeno di migrazione verso il Sud dove l’economia sommersa consente di lavorare senza fisco e controlli. «Io lavoravo in un’azienda del Nord, in regola - racconta un migrante del Burkina Faso - ma la crisi arriva per tutti e allora mi hanno buttato fuori.

Ho deciso di venire al Sud dove c’erano già altri miei fratelli». L’economia sommersa ha cittadinanza nelle terre a controllo mafioso. I numeri del sommerso parlano in Italia di un giro di affari di 350 miliardi di euro. Il nero trova campo fertile nelle zone dove la criminalità organizzata garantisce, con il controllo del territorio, il silenzio, sommandosi e confondendosi con l’economia illegale.

«Il pizzo, in queste terre dalle molte aziende, viene considerato un costo di impresa - racconta il colonnello Carmelo Burgio, a capo del Comando provinciale dei Carabinieri - e questo consente alle imprese di aver un sostegno per vincere gli appalti. Ma non solo. La presenza dei clan consente di pagare i lavoratori diversamente da quanto scritto nelle buste paga. L’imprenditore è coperto dall’organizzazione e anche la forza dei sindacati si sente meno».

L’intimidazione e il controllo del territorio creano un circuito economico strozzato, fatto di elusione, di nero e di assenza di concorrenza. «Io lavoro a 30 euro al giorno - racconta un altro migrante - ci vengono a prendere alle 6 e mezzo di mattina, noi siamo in fila, i più fortunati salgono sui camion». E i camion li vedi girare per Casale e dintorni.

Dentro, stipati come animali, ci sono gli immigrati che lavorano i prodotti di queste terre come l’oro rosso: i pomodori. I numeri parlano di 10mila stagionali regolari che lavorano nelle terre del casertano. Il doppio sono irregolari, invisibili. Di sera tornano nei tuguri, case affittate in nero e abitate in massa dai nuovi schiavi. Quelli che, in piena crisi, tengono in piedi l’unica economia che continua a crescere: quella sommersa e illegale.

 *Pubblicato sul quotidiano Terra

Letto 985 volte
Dalla rete di Articolo 21