di Simone Luciani
E’ passato poco più di un anno, eppure sembra poco più di un secolo. Era appena il 2008, quando l’aborto, stando alle manifestazioni (ben poco frequentate) e alla visibilità mediatica (accecante), sembrava diventato un allarme sociale di proporzioni inaudite. Intellettuali, imbonitori, giornalisti, scienziati che imperversavano per le strade e lamentavano una serie di enormità, dall’eugenetica alla strage degli innocenti.
Ebbene, oggi è stata presentata dal Ministero del Welfare la relazione annuale al parlamento sull’applicazione della legge 194, in cui possono leggersi i primi dati sull’aborto riguardanti proprio il 2008. Come ampiamente prevedibile da parte di chi, anche in quel periodo, abbia conservato un minimo di lucidità mentale, i numeri parlano chiaro: l’Italia ha uno dei tassi di abortività più bassi d’Europa, e il numero assoluto di interruzioni di gravidanza continua a calare, toccando il minimo storico di 121 mila interventi (5 mila in meno rispetto al 2007 e poco più della metà rispetto al 1982). Addirittura, le donne italiane che sono ricorse all’aborto 3 o più volte rappresentano l’1,7%. Dunque, come la relazione dell’anno scorso, come quella di due anni fa, di tre e via dicendo, i dati parlano di un fenomeno estremamente contenuto e in calo. Merito, ovviamente, delle donne italiane, e non certo dei movimenti, dei gruppi e dei politici pro-life, che accompagnano le crociate antiabortiste con condanne del tutto insensate e irrazionali dell’educazione sessuale e della contraccezione, che restano le due strade (culturale e tecnica) per limitare il ricorso all’aborto.
Se volessimo volare basso, sarebbe bello notare come su questo rapporto, nella giornata di oggi, ci sia stato un clamoroso vuoto di dichiarazioni e invettive dei pro-life, che in genere seguono la presentazione di questo tipo di relazioni. Soltanto l’ineffabile Carlo Casini, storico leader del Movimento per la Vita, è riuscito a superare se stesso: “…ci domandiamo se la diminuzione di aborti sia vera”. Non c’è rimedio. Invece, volendo puntare un tantino più in alto, sarebbe più utile riflettere sui due nodi problematici posti da questa relazione e dalle precedenti.
Il primo è il tema dell’aborto fra le donne straniere. Al 2007, una donna su tre che ha fatto ricorso all’interruzione di gravidanza è straniera, e anche il dato assoluto è in continua crescita. Un approccio serio e non ideologico al problema, anziché impegnarsi a dimostrare improbabili teoremi sull’eugenetica, dovrebbe pensare a dei processi di informazione, di educazione, di avvicinamento delle donne immigrate con campagne mirate che sappiano e possano, senza anatemi, spiegare tutti gli aspetti di una procreazione libera e responsabile. Compreso il tema dell’interruzione di gravidanza: non è una novità che queste donne mettano a repentaglio la propria vita con tentativi di aborto artigianale.
Il secondo nodo è quello dell’obiezione di coscienza. A livello nazionale 7 ginecologi su 10 sono obiettori, e in alcune regioni il dato supera l’80%. La sottosegretaria Roccella, con semplicità, ha spiegato che tutto ciò non compromette l’efficienza del servizio. Meno semplice è sperare che qualcuno ci creda. Anche qui, un governo e un parlamento seri dovrebbero chiedersi se è il caso di tenere in piedi un istituto, quello dell’obiezione di coscienza, che nacque per quei ginecologi che, nel 1978, entrata in vigore la legge, si sarebbero trovati da un giorno all’altro a fare un lavoro nuovo che potevano anche non approvare. Oggi non crediamo ci siano particolari ragioni perché un ginecologo possa scegliere di non fare aborti, se da domani la legge prevedesse questo. Più nell’immediato, invece, sarebbe il caso di capire quali siano le strutture in cui le interruzioni di gravidanza non vengono eseguite, o vengono eseguite con discontinuità, o vengono eseguite da uno o due “superstiti”. E studiare provvedimenti seri, che non costringano le donne a umilianti viaggi della speranza.
Entrambi questi punti, comunque, non intaccano la realtà di fondo: in Italia non c’è alcun allarme sociale legato all’aborto. C’è, semmai, il problema di come sostenere la donna di fronte a una scelta così drammatica e difficile, evitando indebite (e indegne) pressioni. Ma per fare ciò si dovrebbe accettare come base comune un presupposto che, nel nostro paese, disturba ancora i sonni di parecchie persone: la libertà della donna.