di Ylenia Di Matteo
Il 16 settembre 1963 veniva adottato, a Strasburgo, il Protocollo addizionale alla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in cui si riconosce, all’ art. 2, co. 2, tra i diritti fondamentali, quello di emigrare. Come i nostri nonni all’inizio del Novecento. Come senegalesi, eritrei, libici oggi. La necessità, per lo straniero, di fuggire da situazioni di guerre, fame, dittature, guidato dalla speranza di una vita libera e dignitosa.
In Italia a 46 anni dalla firma di quel trattato sembra che questi diritti fondamentali siano oggi appannaggio di pochi. Gli stranieri sono troppi, rubano, sporcano, inquinano la nostra religiosità… Non tutti certo, colf e badanti meritano un’opportunità. Così come gli operai, i braccianti, a patto però che decidano di buon grado di lavorare in nero e in precarie (se non nulle) condizioni di “sicurezza”. Discriminazione tra i discriminati.
La fotografia dell’Italia di oggi è buia è impietosa. Un Paese ossessionato dal diverso. E che alle diversità risponde con le ronde, con le aggressioni razziste e omofobe, gli striscioni xenofobi allo stadio. I giochetti su Facebook nei quali si “rimbalza il clandestino” o i manifesti che a caratteri cubitali inneggiano alla tortura degli immigrati clandestini. Per loro “è legittima difesa”… Quando il ministro Bossi afferma “Ogni popolo ha il suo territorio, qui sono i nostri che hanno i diritti. Qui nessuno va a dire ad altri di comandare a casa sua” (La Stampa 13.09.09), mi chiedo quale sia il territorio adatto a chi ha una vita miserabile.
Non esistono uomini e “sottouomini”. Esiste, o quantomeno dovrebbe esistere ed essere insegnato il rispetto per la dignità, di chi lascia l’inferno per la vita. Di chi sta cadendo e sogna di fermarsi, per poi ripartire. di favorire una crescita sociale, economica, culturale, nel paese di origine come in quello di accoglienza.
Esiste, a volte, il silenzio. O quantomeno, talvolta, dovrebbe esistere. Si eviterebbero così affermazioni, come quella del ministro Zaia, secondo cui “ La legge italiana sull’immigrazione e i respingimenti non sono un atto di razzismo, ma di civiltà” (Ansa, 24.08.09). O quelle del ministro Maroni , che punta al 100% dei respingimenti, “ Da quando siamo al governo ho riaffermato un principio che e' di tutti i cittadini padani: la legalità. Le regole vanno rispettate da tutti. Prima non era cosi. Abbiamo svolto una azione molto forte" (Libero, 13.09.09).
Peccato per loro che non la pensi così l’Alto Commissario per i diritti umani Navi Pillay che, facendo esplicito riferimento al gommone eritreo rimasto, lo scorso agosto, in balia delle acque e della paralisi giuridica tra Italia, Libia e Malta, parla di “violazione del diritto internazionale”.
La sentenza n. 105 del 2001 della Corte Costituzionale afferma un principio fondamentale: “Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”.
Già, esseri umani…