Articolo 21 - Editoriali
Pillola abortiva, dove porterà la diabolica alleanza?
di Simone Luciani
Non se la prendano, le gerarchie ecclesiastiche. Ma, a voler cristianamente interpretare certe alleanze, certi ammiccamenti, certi strusci, in alcune loro manovre condotte assieme alle istituzioni italiane pare proprio esserci di mezzo il diavolo. Diabolico, ad esempio, pare l’originale asse padano-clericale, che ha favorito l’ascesa di uno dei due candidati governatori leghisti al nord (l’altro, probabilmente, non ne aveva bisogno), e che ora si riverbera nella consueta orgia di sciocchezze. Con buona pace delle donne.
I critici bollano come una sorta di sbornia da vittoria elettorale le uscite di Roberto Cota e, a seguire, di Luca Zaia sulla RU486. E sbagliano. Ciò cui stiamo assistendo è una inevitabile cerimonia di ringraziamento nei confronti del capo dei vescovi Bagnasco. Il quale, al contrario di ciò che scrivevano le anime belle, non aveva gettato nella campagna elettorale il tema dell’aborto in maniera sprovveduta e casuale: lo aveva fatto ben cosciente del ruolo che i governatori avrebbero avuto nella diffusione in Italia della RU486. Né può essere un caso se Cota (sulla cui vittoria, per qualche migliaia di voti, ha pesato senz’altro l’outing di Bagnasco), dodici ore dopo la sua vittoria, sente il bisogno di affrontare come primo tema in assoluto da governatore del Piemonte quello della pillola abortiva. Arrivando a dire, nella tempesta di dichiarazioni, che chiederà ai direttori generali di bloccarla. Con il dettaglio che la nomina dei direttori generali spetta alla Regione. E quindi anche a Cota. Sia lui che Zaia non sono in preda a una puerile esultanza, quando sostengono che, fuori dalla legge, impediranno l’uso della RU486: la loro è un’abile strategia. Strategia che, alla fine, trasformerà la posizione degli altri governatori del centrodestra (e, siamo sicuri, anche di quelli del carroccio), ovvero il sì alla pillola ma solo con ricovero ordinario fino all’espulsione del feto, in una magnanima mediazione. Insomma, si veste da mediazione il rinchiudere una donna per giorni e giorni in ospedale per legge, anziché lasciare al medico la valutazione dell’opzione migliore (stando che, al contrario di ciò che viene propagandato, nessuno propone l’uso “domestico”, ma si chiede semplicemente di lasciare aperta l’opportunità del day hospital, la più usata al mondo per l’aborto chimico). L’ipotesi che prima delle regionali era la peggiore si trasformerà nella migliore. Scatenerà bagarre giudiziarie? Può darsi. Certo è che a fronte di un aborto è difficile ritenere che una donna abbia voglia di mettersi a battagliare con ricorsi e controricorsi. E’, invece, inumano inscenare cialtronesche crociate su momenti tanto delicati.
I critici bollano come una sorta di sbornia da vittoria elettorale le uscite di Roberto Cota e, a seguire, di Luca Zaia sulla RU486. E sbagliano. Ciò cui stiamo assistendo è una inevitabile cerimonia di ringraziamento nei confronti del capo dei vescovi Bagnasco. Il quale, al contrario di ciò che scrivevano le anime belle, non aveva gettato nella campagna elettorale il tema dell’aborto in maniera sprovveduta e casuale: lo aveva fatto ben cosciente del ruolo che i governatori avrebbero avuto nella diffusione in Italia della RU486. Né può essere un caso se Cota (sulla cui vittoria, per qualche migliaia di voti, ha pesato senz’altro l’outing di Bagnasco), dodici ore dopo la sua vittoria, sente il bisogno di affrontare come primo tema in assoluto da governatore del Piemonte quello della pillola abortiva. Arrivando a dire, nella tempesta di dichiarazioni, che chiederà ai direttori generali di bloccarla. Con il dettaglio che la nomina dei direttori generali spetta alla Regione. E quindi anche a Cota. Sia lui che Zaia non sono in preda a una puerile esultanza, quando sostengono che, fuori dalla legge, impediranno l’uso della RU486: la loro è un’abile strategia. Strategia che, alla fine, trasformerà la posizione degli altri governatori del centrodestra (e, siamo sicuri, anche di quelli del carroccio), ovvero il sì alla pillola ma solo con ricovero ordinario fino all’espulsione del feto, in una magnanima mediazione. Insomma, si veste da mediazione il rinchiudere una donna per giorni e giorni in ospedale per legge, anziché lasciare al medico la valutazione dell’opzione migliore (stando che, al contrario di ciò che viene propagandato, nessuno propone l’uso “domestico”, ma si chiede semplicemente di lasciare aperta l’opportunità del day hospital, la più usata al mondo per l’aborto chimico). L’ipotesi che prima delle regionali era la peggiore si trasformerà nella migliore. Scatenerà bagarre giudiziarie? Può darsi. Certo è che a fronte di un aborto è difficile ritenere che una donna abbia voglia di mettersi a battagliare con ricorsi e controricorsi. E’, invece, inumano inscenare cialtronesche crociate su momenti tanto delicati.
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