di Riccardo Cristiano
Forse basterebbe dire che il giocatore della Roma non è stato un esempio di sportività per chiudere il discorso e passare ad occuparsi d’altro. Ma forse, rischiando di apparire un po’ esagerati, vale la pena di soffermarsi un attimo su quanto è accaduto: tutto sommato il calcio è molto popolare e non conta solo per i risultati ma anche per i valori che trasmette, e al momento non sembrano dei migliori. Va premesso che i meccanismi tribali sottostanti alle stracittadine sono noti. Ma l’abbandono della sportività da parte di uno sportivo di fama mondiale è un fatto interessante. “I derby sono fatti di sfottò”, si dice, “certe cose ci stanno”.
L’augurio che l’altra squadra non vinca lo scudetto o vada in “b” cova nel cuore di molti tifosi, consapevoli di non essere sportivi, per via di un rigurgito primordiale che divora buona parte dei loro meccanismi razionali. Ma raramente, e mai in modo così autorevole e plateale, questa fanciullesca gioia non per il proprio bene ma per l’altrui male era stata fatta emergere dagli spalti, esibita da un atleta davanti alle telecamere di mezzo mondo. Trasformandola in qualcosa di più rilevante.
Benché non avesse giocato la migliore delle sue partite, sostituito alla fine del primo tempo, Francesco Totti ha deciso di tornare sul campo da gioco, per essere comunque protagonista, “capitano” anche se non nel gioco. E facendo dell’Olimpico l’odierno Colosseo ha rivolto ai suoi non un gesto di esultanza, di vittoria, ma il pollice verso nei confronti del nemico, dell’altro, dello sconfitto. Impossibile, al di là della passione sportiva che può portare da una parte o dall’altra, paragonare questo gesto a calci, insulti, offese, sberleffi. “Il capitano”, “l’Imperatore”, l’ “VIII re di Roma” ha voluto rifare nell’odierno Colosseo quel che fece al termine del derby di andata e che in molti, con l’abituale acquiescenza nei confronti delle star, lessero come un dire ai propri sostenitori “ li abbiamo sconfitti.” Ma non c’era soltanto questo in quel gesto. E la scelta di ripeterlo lo dimostra.
Tutti sanno, a Roma in particolar modo, che il gladiatore vinceva anche quando l’imperatore non volgeva il pollice verso il basso, ma verso l’alto, ordinando così di avere pietà e salvare almeno la vita allo schiavo già in terra, umiliato, sconfitto. Al contrario con il “pollice verso” l’imperatore ordinava di non avere pietà e uccidere il vinto, ansimante nell’arena.
Se qualcuno lo ha preso alla lettera, se qualcuno ha tirato fuori i coltelli, non è colpa di Totti. Quel gesto, che tecnicamente potrebbe essere letto anche come una istigazione a delinquere in un ambiente non alieno, per me non lo era e non voleva neanche esserlo. C’è un gran bel libro che si intitola “L’innocenza del male” e quel gesto tracotante me lo ha ricordato perché vi ho visto la scelta, fatta con “cristallina innocenza”, di umiliare, per disprezzo dell’altro. Totti avrà pure accettato di fare il testimonial dell’Unicef nell’illusione che facendo “i puponi” si sia sempre innocenti, ma non è così…