di Alberto Spampinato*
Il fotomontaggio che mostra Roberto Saviano cadavere all'obitorio è un'immagine oscena, come ha detto Benedetta Tobagi. E' una violazione del rispetto dovuto a chi è perseguitato e ad ogni essere umano. Cosa significa essere raffigurato come se si fosse stati privati della vita, lo ha spiegato con amarezza e con stile lo stesso Saviano, un giovane giornalista e scrittore che da quattro anni è costretto a vivere rintanato e a girare sotto scorta per avere raccontato con grande efficacia le tristi imprese del clan dei casalesi. Saviano ha evocato la situazione di molti altri che vivono la sua stessa condizione, con l'aggravante di non essere conosciuti e protetti come lui. Dodici di questi minacciati poco conosciuti, dodici cronisti calabresi minacciati dalla 'ndrangheta, hanno risposto alla chiamata in causa. Hanno detto che si immedesimano nella violenza contro Saviano e di fronte a quell'orribile fotomontaggio provano ''una indicibile sofferenza'', come per le loro vicende personali.
''Il dolore provato dalle nostre famiglie dopo aver ricevuto minacce di morte, per il solo fatto di raccontare da giornalisti quanto accade nei territori infestati dai boss non può essere banalmente e provocatoriamente trasformato in un'eclatante scelta editoriale che puzza di narcisismo'', hanno scritto in un documento di cui voglio sottolineare l'importanza. E' la prima volta che un gruppo di cronisti minacciati, superando ritrosia e paura, ed anche gelosie di testata, distinguo e divergenze di vedute, denuncia in un documento pubblico la comune condizione personale di pericolo, di isolamento e di incomprensione. Finora c'è stata al massimo la protesta di un singolo minacciato alla volta, e ha fattos ensazione: ricordo il caso di Saviano, di Lirio Abbate, di Giulio Cavalli e non ne ricordo altri. Percio' la dichiarazione sottoscritta da Michele Albanese, Giuseppe Baglivo, Giuseppe Baldessarro, Alessandro Bozzo, Filippo Cutrupi, Michele Inserra, Francesco Mobilio, Antonino Monteleone, Fabio Pistoia, Leonardo Rizzo, Antonio Sisca e Giovanni Verduci non deve essere sottovalutata. Spero sia letta come merita. Come un atto di coraggio, e anche come il segno che la pressione indebita nei confronti dei giornalisti che trattano notizie scomode e delicate si è fatta insopportabile. Almeno in Calabria, dove negli ultimi tempi si sono registrati decine di gravi episodi di minacce e intimidazioni nei confronti di cronisti.
Chiediamoci dunque cosa succede in Calabria. Dobbiamo parlare di queste cose, assicurare solidarietà concreta alle persone colpite, rompere il silenzio che rende deboli le vittime, trovare insieme alle istituzioni, agli editori alle direzioni dei giornali il modo di rendere più sicuro il lavoro dei cronisti. Il governo, la magistratura le forze dell'ordine devono fare la loro parte, che è essenziale, per garantire la sicurezza e l'autonomia dell'informazione. L'esperienza insegna che anche la visibilità e la solidarietà pubblica, la scorta mediatica, sono armi di difesa potenti per i giornalisti minacciati.
*direttore di Ossigeno per l'informazione