Articolo 21 - Editoriali
Noi non la rimpiangeremo
di Ernesto Ruffini
Presidente Berlusconi,
lei ha avuto sedici anni per cambiare l’Italia. Li ha usati per accrescere le diseguaglianze sociali, dividere il Paese in fazioni contrapposte, minare la fiducia nelle istituzioni, mortificare il nostro senso di appartenenza ad una comunità solidale. E’ arrivato il momento di voltare pagina e di riprenderci il futuro.
Per costruirlo il nostro futuro, dovremo riappropriarci della parte migliore del nostro passato, delle nostre radici comuni. Radici che affondano nella lotta, nei sogni e nella generosità di chi ha combattuto per far uscire l’Italia dalla dittatura e per costruire la nostra democrazia.
Lei entrerà nella storia, come desiderava. Ma come forse temeva, noi non la rimpiangeremo. No, non la rimpiangeremo: la ricorderemo solo come una triste lezione del passato, passato al quale impediremo di tornare presente e futuro.
C’è qualcosa che è più grande di lei, delle sue televisioni, del suo denaro, del suo potere. Qualcosa che ci è stato regalato molti anni fa e che noi qui, oggi, abbiamo ancora la forza, il coraggio e la passione di difendere: la nostra Costituzione!
Ai suoi tentativi di evitare i processi, noi opponiamo il principio di uguaglianza di tutti davanti alla legge, ricordandole che non c’è nessuno più uguale degli altri, neanche lei Signor Presidente, perché è la Costituzione che ce lo ricorda (art. 3).
Alla sua politica di condoni e scudi fiscali, noi opponiamo il dovere di pagare le tasse, tutti, nessuno escluso, perché è la Costituzione che ce lo chiede (art. 53).
Ai suoi attacchi alla magistratura, da lei definita metastasi della democrazia, noi opponiamo il dovere di difendere i giudici da ogni ingerenza della politica, perché è la Costituzione che ce lo impone (art. 104).
Alla sua politica di demolizione della scuola, noi opponiamo la difesa della scuola pubblica, aperta a tutti, perché è la Costituzione che ce l’ha regalata (art. 34).
Ai suoi respingimenti in mare e al reato di immigrazione clandestina che fanno scivolare il nostro Paese verso forme di razzismo primordiale, noi opponiamo i principi di solidarietà, di accoglienza e di uguaglianza, perché è la Costituzione che ce li ha insegnati (art. 2, art. 3, art. 10).
Al suo tentativo di mettere un bavaglio ai giornali, noi opponiamo la libertà di stampa, perché è la Costituzione che la garantisce ed è la stessa democrazia a non poterne fare a meno (art. 21).
Alla vergognosa legge elettorale voluta e difesa dalla sua maggioranza, noi opponiamo la sovranità popolare e la democrazia parlamentare: è la Costituzione nata dalla Resistenza che ce le ha consegnate e noi non intendiamo rinunciarvi (art. 48, art. 67).
Come vede, Signor Presidente, tra noi e Lei c’è una distanza enorme: quella dei 139 articoli della nostra Costituzione, quella di oltre 60 anni di storia repubblicana!
Sono queste, Signor Presidente, le ragioni per cui noi non la rimpiangeremo. Mai!
Nei giorni scorsi Lei ha citato Calamandrei, uno dei Padri Costituenti. E’ vero, Calamandrei diceva che la minoranza deve rispettare la maggioranza. Ma Calamandrei, Signor Presidente, diceva anche che la maggioranza deve consentire alla minoranza di sostenere e discutere le proprie ragioni. Lei questo confronto non lo permette. Lei conosce solo decreti legge e voti di fiducia. Il suo Governo ha paura del Parlamento, del confronto e della discussione che sono l’essenza della democrazia. Questa, signor Presidente, Calamandrei, a lei così caro, la chiamava dittatura della maggioranza.
Le vogliamo invece rammentare le parole di un altro Padre Costituente, che credeva davvero in un Paese realmente condiviso tra maggioranza ed opposizione. Sono le parole dell’Onorevole Aldo Moro. «Lo Stato», affermava durante i lavori dell’Assemblea Costituente, «comanda nei limiti della Costituzione e delle leggi ad essa conformi», ed al singolo e alla collettività spetta «la resistenza contro lo Stato, se esso avvalendosi della sua veste di sovranità, tenta di menomare i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi».
Ed è questo che noi faremo, Signor Presidente, le resisteremo per difendere la nostra democrazia!
Le resisteremo ricordandole che la Costituzione sulla quale lei ha giurato le impone di adempiere alle sue funzioni con disciplina ed onore (art. 54).
Le resisteremo e le ricorderemo ogni giorno la nostra storia. La ricorderemo a lei e a tutti quelli che pensano di poter cancellare la nostra Costituzione e pensano di farlo senza che nessuno di noi se ne accorga, senza che nessuno di noi alzi un dito. Ma noi non ci gireremo dall’altra parte, noi non faremo finta di non vedere o di non sapere.
Perché «quello che accade», come diceva Gramsci, «accade non tanto perché una minoranza vuole che accada, quanto piuttosto perché la gran parte dei cittadini ha rinunciato alle sue responsabilità e ha lasciato che le cose accadessero». Noi, signor Presidente, non lasceremo che le cose accadano! Non lo faremo!
Noi ci assumeremo le nostre responsabilità. Noi restituiremo all’Italia dignità, speranza e futuro!
lei ha avuto sedici anni per cambiare l’Italia. Li ha usati per accrescere le diseguaglianze sociali, dividere il Paese in fazioni contrapposte, minare la fiducia nelle istituzioni, mortificare il nostro senso di appartenenza ad una comunità solidale. E’ arrivato il momento di voltare pagina e di riprenderci il futuro.
Per costruirlo il nostro futuro, dovremo riappropriarci della parte migliore del nostro passato, delle nostre radici comuni. Radici che affondano nella lotta, nei sogni e nella generosità di chi ha combattuto per far uscire l’Italia dalla dittatura e per costruire la nostra democrazia.
Lei entrerà nella storia, come desiderava. Ma come forse temeva, noi non la rimpiangeremo. No, non la rimpiangeremo: la ricorderemo solo come una triste lezione del passato, passato al quale impediremo di tornare presente e futuro.
C’è qualcosa che è più grande di lei, delle sue televisioni, del suo denaro, del suo potere. Qualcosa che ci è stato regalato molti anni fa e che noi qui, oggi, abbiamo ancora la forza, il coraggio e la passione di difendere: la nostra Costituzione!
Ai suoi tentativi di evitare i processi, noi opponiamo il principio di uguaglianza di tutti davanti alla legge, ricordandole che non c’è nessuno più uguale degli altri, neanche lei Signor Presidente, perché è la Costituzione che ce lo ricorda (art. 3).
Alla sua politica di condoni e scudi fiscali, noi opponiamo il dovere di pagare le tasse, tutti, nessuno escluso, perché è la Costituzione che ce lo chiede (art. 53).
Ai suoi attacchi alla magistratura, da lei definita metastasi della democrazia, noi opponiamo il dovere di difendere i giudici da ogni ingerenza della politica, perché è la Costituzione che ce lo impone (art. 104).
Alla sua politica di demolizione della scuola, noi opponiamo la difesa della scuola pubblica, aperta a tutti, perché è la Costituzione che ce l’ha regalata (art. 34).
Ai suoi respingimenti in mare e al reato di immigrazione clandestina che fanno scivolare il nostro Paese verso forme di razzismo primordiale, noi opponiamo i principi di solidarietà, di accoglienza e di uguaglianza, perché è la Costituzione che ce li ha insegnati (art. 2, art. 3, art. 10).
Al suo tentativo di mettere un bavaglio ai giornali, noi opponiamo la libertà di stampa, perché è la Costituzione che la garantisce ed è la stessa democrazia a non poterne fare a meno (art. 21).
Alla vergognosa legge elettorale voluta e difesa dalla sua maggioranza, noi opponiamo la sovranità popolare e la democrazia parlamentare: è la Costituzione nata dalla Resistenza che ce le ha consegnate e noi non intendiamo rinunciarvi (art. 48, art. 67).
Come vede, Signor Presidente, tra noi e Lei c’è una distanza enorme: quella dei 139 articoli della nostra Costituzione, quella di oltre 60 anni di storia repubblicana!
Sono queste, Signor Presidente, le ragioni per cui noi non la rimpiangeremo. Mai!
Nei giorni scorsi Lei ha citato Calamandrei, uno dei Padri Costituenti. E’ vero, Calamandrei diceva che la minoranza deve rispettare la maggioranza. Ma Calamandrei, Signor Presidente, diceva anche che la maggioranza deve consentire alla minoranza di sostenere e discutere le proprie ragioni. Lei questo confronto non lo permette. Lei conosce solo decreti legge e voti di fiducia. Il suo Governo ha paura del Parlamento, del confronto e della discussione che sono l’essenza della democrazia. Questa, signor Presidente, Calamandrei, a lei così caro, la chiamava dittatura della maggioranza.
Le vogliamo invece rammentare le parole di un altro Padre Costituente, che credeva davvero in un Paese realmente condiviso tra maggioranza ed opposizione. Sono le parole dell’Onorevole Aldo Moro. «Lo Stato», affermava durante i lavori dell’Assemblea Costituente, «comanda nei limiti della Costituzione e delle leggi ad essa conformi», ed al singolo e alla collettività spetta «la resistenza contro lo Stato, se esso avvalendosi della sua veste di sovranità, tenta di menomare i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi».
Ed è questo che noi faremo, Signor Presidente, le resisteremo per difendere la nostra democrazia!
Le resisteremo ricordandole che la Costituzione sulla quale lei ha giurato le impone di adempiere alle sue funzioni con disciplina ed onore (art. 54).
Le resisteremo e le ricorderemo ogni giorno la nostra storia. La ricorderemo a lei e a tutti quelli che pensano di poter cancellare la nostra Costituzione e pensano di farlo senza che nessuno di noi se ne accorga, senza che nessuno di noi alzi un dito. Ma noi non ci gireremo dall’altra parte, noi non faremo finta di non vedere o di non sapere.
Perché «quello che accade», come diceva Gramsci, «accade non tanto perché una minoranza vuole che accada, quanto piuttosto perché la gran parte dei cittadini ha rinunciato alle sue responsabilità e ha lasciato che le cose accadessero». Noi, signor Presidente, non lasceremo che le cose accadano! Non lo faremo!
Noi ci assumeremo le nostre responsabilità. Noi restituiremo all’Italia dignità, speranza e futuro!
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