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Articolo 21 - Editoriali
Ponte Galeria, il rapporto-denuncia dei Medici per i diritti umani
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di Bruna Iacopino

Sono invisibili, non hanno diritto a un nome e ad una storia, non possono ricevere visite, sono monitorati 24 ore su 24, ma non hanno nessuna colpa se non quella di non essere in regola con il permesso di soggiorno. Questa è la condizione in cui versano migliaia di persone nel nostro paese. Benchè ci si ostini a definirli ospiti, le persone trattenute all’interno dei Cie, sono a tutti gli effetti reclusi, all’interno di strutture: “Inadeguate a tutelare la dignità delle persone trattenute  e a garantire i loro  diritti fondamentali.” Questo il risultato dell’inchiesta condotta dall’organizzazione Medici per i diritti umani all’interno del CIE più grande d’Italia, quello di Ponte Galeria e pubblicata in questi giorni sul sito omologo.
Il rapporto, è il frutto della visita effettuata dentro il centro il 14 ottobre 2010 e atta a valutare le condizioni effettive in cui versano i reclusi, e delle interviste realizzate con chi dentro Ponte Galeria vi è transitato, sperimentando in prima persona. Come si legge infatti sul rapporto, i visitatori, pur avendo avuto il permesso di visionare le diverse sezioni della struttura, constatandone il miglioramento delle condizioni in seguito al cambio di gestione ( dalla Croce rossa, alla cooperativa Auxilium), confermano tuttavia il parere espresso nei rapporti precedenti: “…il CIE si configura ancora di più che in passato come un nuovo tipo d’istituzione totale con i suoi meccanismi di esclusione e di violenza, evidenziati anche dalle testimonianze raccolte.”
Il quadro che emerge non aggiunge forse alcuna novità di fondo a quanto già scritto e raccontato da altri soggetti ( Medici senza frontiere, per esempio) ma aiuta a non dimenticare che esistono luoghi in cui il controllo sociale è praticamente assente, vista la difficoltà di ottenere un permesso per visitare le strutture, permesso che a volte è negato  ( o particolarmente rallentato) per parenti e amici dei reclusi.
La struttura di Ponte Galeria ospita 366 persone, allo stato attuale non in sovraffollamento, sostengono i gestori che sottolineano come nell’ultimo periodo ci si sia dotati di attività di intrattenimento, vista la lunga durata della permanenza, in una struttura dove: “…non si potrebbe resistere neanche 15 giorni” . E il malessere è lampante: testimoniato dagli atti di autolesionismo e dall’abuso di psicofarmaci, prescritti direttamente dal personale medico presente ( e capace di fornire solo prestazioni di base) o richiesti direttamente dagli “ospiti”. Scarsa e inefficiente l’assistenza medica specialisitica visto il mancato collegamento con le Asl esterne e la difficoltà anche logistica legata al trasferimento dei trattenuti presso strutture ospedaliere esterne.
Ma non è solo l’aspetto sanitario a destare preoccupazione, il clima di tensione già sfociato in diverse manifestazioni di protesta da parte degli immigrati reclusi rischia di riesplodere in qualsiasi momento acutizzato anche dalla decisione ultima di posizionare dei pannelli trasparenti sul tetto per impedire ai reclusi di arrampicarvisi in occasioni di manifestazioni di protesta che vedano anche un supporto esterno.
Ma c’è un altro dato che, stando alla Onlus, potrebbe prefigurare un’anomalia nell’uso di questo strumento normativo: la maggior parte degli immigrati transitati nella struttura di Ponte Galeria nell’anno 2010 ( dati della Prefettura) risultano essere di nazionalità rumena, quindi comunitari e ipoteticamente liberi di circolare. 
Di contro al prolungamento dei tempi di trattenimento calano però, le operazioni di rimpatrio sono invece calate. A livello nazionale, nel 2009, a essere rimpatriato è stato il 38% del totale, rispetto al 41% dell’anno precedente. Da qui dunque il quesito inevitabile… Qual è lo scopo di una struttura come il Cie e quale il motivo di prolungare i tempi di permanenza quando questi non sono funzionali allo scopo?

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