di Antonella Napoli
Nelle scorse settimane Articolo 21, insieme ad altre organizzazioni italiane e internazionali, tra cui ‘Italians for Darfur’, ha sottoscritto una lettera aperta con la quale si chiedeva al Governo italiano di assumere azioni immediate in risposta alla violenta repressione delle manifestazioni e al massacro di civili innocenti in Libia. Oggi l’Italia offre basi e forze armate per contrastare i raid aerei nel Paese con il voto bipartisan delle commissioni Difesa ed Esteri del Senato e della Camera che dà mandato al governo ad agire in base alla risoluzione Onu approvata la scorsa notte.
La convinzione e la consapevolezza che la comunità internazionale non potesse rimanere spettatore passivo di una tale brutalità ci aveva convintamente spinto alla mobilitazione. Credevamo che l’Italia in particolare, visti i suoi legami storici e commerciali con la Libia, potesse e dovesse mettere in campo efficaci pressioni su Muammar Gheddafi per persuaderlo dalla sua azione assassina. Ma così non è stato. Almeno all’inizio. Dal 17 febbraio 2011, quando centinaia di manifestanti sono stati uccisi, arrestati e detenuti per ordine di Gheddafi, le reazioni e gli atti di condanna del nostro Paese si sono rivelati blandi e inadeguati.
Abbiamo denunciato dal primo momento che le parole di sdegno non bastavano; non serviranno a proteggere i civili di fronte a tali brutalità.
Abbiamo chiesto ai leader mondiali di farsi carico delle proprie responsabilità per proteggere i civili da un massacro sistematico, in primis attuando sanzioni mirate, compreso il congelamento dei beni e il divieto di transito da imporre a funzionari libici e comandanti militari responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani. Ma anche imponendo un embargo dell’UE su tutte le esportazioni di armi e di equipaggiamenti per le forze di sicurezza in Libia e appoggiando il richiamo dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay, per una inchiesta internazionale sugli attacchi contro la popolazione civile.
Gran parte di queste richieste sono state accolte, tra cui la sospensione della cooperazione con il governo libico nell’intercettazione delle imbarcazioni con a bordo migranti provenienti dalle coste africane e del respingimento sommario senza esaminare le posizioni individuali di quanti potrebbero avere bisogno di protezione internazionale.
Ci auguriamo che il voto del Consiglio di sicurezza che ha decretato, colpevolmente in ritardo, l’attuazione di una ‘no fly zone’ in Libia, si riveli la svolta che possa davvero fermare i crimini contro l’umanità perpetrati senza scrupoli da un dittatore sanguinario pur di non perdere il potere.
Ma il tempo sta scadendo. E se la tregua di queste ore e il cessate il fuoco annunciato da Gheddafi risultassero solo un bluff per guadagnare tempo, il massacro potrebbe riprendere più cruento di prima. Per questo bisogna vigilare e mantenere fede agli impegni assunti dal nostro Paese.