di Marisa Nicchi*
Del viaggio da Livorno a Tunisi, la rotta inversa a quella che fanno i migranti, parlano le immagini del blog http://invertirelarotta.wordpress.com/. La potenza della musica è stata unificatrice di quest’avventura con artisti che sono riusciti a toccare, magicamente, le corde della gioia, della festa, della malinconia, sentimenti ambivalenti della migrazione. Faccio alcune annotazioni di quest’intensa esperienza.
Il viaggio come pratica politica
La scelta del viaggio fatta con le associazioni “ Adelante”, “MWANA Africa” con sede nel Circolo Arci S.Ilario, “Osteria De Leone”, è nata dal desiderio di sperimentare un modo insolito di fare politica: stare assieme per raggiungere una meta, condividere ragioni ed emozioni lungo un itinerario politico pensato da ciascuno in grandi linee e dove l’imprevisto ha stimolato l’inventiva e insieme la capacità di saper accettare i limiti imposti per esempio dal mare. Lo sanno i migranti che esclusi dalla velocità della mobilità globale dei ricchi, delle merci, dei capitali si spostano camminando, navigando, tra avversità umane politiche e naturali. Noi abbiamo voluto “avvicinare” questa condizione e condividerla con chi l’aveva già vissuta in ben altri contesti.
In fondo, abbiamo bisogno come il pane di tante piccole avventure fuori dai riti, e dai “corridoi” della solita politica che si dice “conti”, ma incatena la mente. In giro ce n’è voglia di politica insolita, è stata palpabile nelle battaglie referendarie, nelle nostre feste. Penso che l’esperienza, parziale, di questo viaggio politico sia un gioiello di SEL e possa essere utile a invogliare altri ad osare. Con cento, mille di queste azioni SEL sprigionerebbe una grande energia collettiva, la politica sarebbe più interessante e ciascuno/a metterebbe in gioco la propria creatività. Il meglio. L’ho pensato girando in piazza Navona e osservando tanti giovani e ragazze. Tocca a noi evocare questo desiderio e farlo esprimere.
Il mare e il diritto di soccorso e di sapere
Si sa che nel tratto di mare che divide la Sicilia dalla Tunisia sono annegati migliaia di migranti e che molti di loro sono scampati per miracolo. E’ la contemporanea pagina dei “sommersi e i salvati” che Primo Levi saprebbe descrivere con impareggiabile asciutta profondità. Avviene nel silenzio, oppure oltraggiata dalla destra che, a fini interni, ha tolto la vergogna a parole e pratiche come: respingimento, omissione di soccorso in mare. Proprio nei giorni del viaggio è finita l’odissea dei due pescatori tunisini che nel 2007 soccorsero in mare 44 naufraghi vicino a Lampedusa e per questo condannati a due anni e 6 mesi per violenza a nave da guerra, resistenza a pubblico ufficiale, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perdendo anche la loro unica risorsa: i pescherecci. E poi c’è il tenero film di Trialese “Terra ferma”, non sarà il suo più bello, ma è il segno dei tempi.
Per capire l’attrazione del mare bisogna partire dalla terra. Da Sidi Bouzid, dalle case povere spesso costruite sotto la minaccia delle inondazioni del fiume che delimita quartieri squallidi, dove i piccoli giocano liberi e forse, almeno nell’età dell’incoscienza, più felici dei nostri sollazzati dal denaro che compra tutto, anche lo studio. Potessero loro! Invece arriva la giovinezza, il peso della miseria delle famiglie sulle spalle. E’ una scelta senza scampo quella di partire per mare e mettere piede a Lampedusa, il varco per l’Italia dei “sans-papiers” conosciuto da tutti. Partono per la conquista di una vita migliore. E’ questo che li rende vivi, anche se molti non ce la fanno. Con il nostro viaggio abbiamo voluto vedere da dove partono, percepire lo strappo dai loro cari, dalla loro terra. L’Olocausto unifica le sponde del Mediterraneo: i corpi in fondo al mare , il dolore di chi li aspetta a casa. Le madri, (i padri?) che abbiamo incontrato ci hanno mostrato le foto custodite sotto le vesti, sussurrano i nomi di chi è partito, non si arrendono e vogliono sapere la loro fine e, malgrado il tempo trascorso, sperano. Il cuore ha molti angoli. Consegnandoci quelle foto è stato come se ci chiedessero di esercitare un potere che a loro è negato. Prenderle con noi è stata una promessa che ha in sè molti interrogativi. E’ facile per noi concludere dove siano finiti i venti ragazzi partiti nel 2005 per la Libia da dove si sarebbero imbarcati per Lampedusa e che, da allora, non hanno dato più notizie di sé. Non lo è per una madre, un caro. Ho ancora il dubbio se sia giusto togliere la speranza a quelle madri. Ma se nella sfera privata, nessuno può pretendere di sapere, da fuori, che cosa è meglio, nella sfera pubblica ci sono dei doveri a cui non è possibile ritrarsi. Come si può rompere l’indifferenza per la ricerca dei possibili “salvati” e come costruire una memoria dei “sommersi”? La tecnologia non serve solo a controllare e pattugliare, può servire a dare nomi, volti, luoghi ai dispersi, e anche la data di una morte.
La costrizione, l’inerzia.
Il bisogno di vita migliore, però, nella fortezza europea è stato trasfigurato in reato di clandestinità, in nome del quale si toglie libertà. Chi proviene dal sud del mondo trova “sponde armate”, muri invalicabili costruiti per disegnare nuove esclusioni. E’ la sfida più odiosa che un migrante deve affrontare. Noi l’abbiamo toccata con mano a Civitavecchia visitando il campo di accoglienza dove risiedono oltre 500 rifugiati politici. Il campo nato lo scorso aprile per un’emergenza legata agli sbarchi tunisini è “roba” della protezione civile non rientra tra i campi di accoglienza ordinari che secondo il piano nazionale di asilo politico vengono gestiti dagli enti locali. Lì si vive in condizioni materiali stentate, incivili. Quello che più mi ha colpita, un cazzotto alla ragione, è l’accanimento sulla condizione esistenziale di molti giovani: mesi in attesa senza né sapere, nè fare niente, ad aspettare nell’inerzia, nella promiscuità e senza riservatezza. C’è da impazzire. C’è da scoppiare. La legge prevede che nel periodo di assistenza statale che dura molto, i richiedenti non lavorino e non prestino nessuna attività. Nemmeno volontaria come per esempio per migliorare le strutture dove vivono. E’ la logica del campo, che annichilisce nella passività. Uno spreco punitivo una sofferenza inutile. Ritornano alla mente pagine di Primo Levi sul “funzionamento“di Auschwitz. Siamo appena un passo indietro.
La lezione tunisina
“Non voglio darvi il benvenuto, perché voi non siete degli invitati, e io non sono un ospite, tutti noi siamo a casa nostra– ha spiegato Azyz Amami, tra i blogger animatore della rivoluzione tunisina dello scorso gennaio che abbiamo incontrato. La Terra appartiene a tutti gli esseri umani, ed è tempo che cambino le cose. Perché tutti noi viviamo gli stessi problemi, cercando la stessa soluzione.” Riaffiorano i nostri sogni mai sfumati, riproposti da nuovi protagonisti con la propagazione potente della rete.
La rivolta giovanile iniziata nel governato di Sidi Bouzid, i blogger arrestati, la mobilitazione a piazza Tahir hanno sbaragliato un regime. Sono i giovani che cresciuti in un paese dove, solo pochi mesi fa erano impensabili le riunioni che abbiamo fatto nella vecchia Tunisi francese, dove si respira il cambiamento e, nella notte bloccata dallo stato di emergenza, una certa tensione. Dagli incontri abbiamo percepito la vivacità della società civile e il fiorire di associazioni di ogni tipo, dal puro volontariato alla protezione dell’ambiente e dei siti archeologici, a quelle che si preoccupano di fornire strumenti di interpretazione ai cittadini per poter comprendere cosa sia una costituzione, agli avvocati che difendono i diritti dei migranti. Il rischio è che tutto ciò resti separato dalla politica in via di organizzazione per le elezioni dell’Assemblea Costituente del 23 ottobre. Possiamo dire tutto il mondo è paese. Auguri alla democrazia tunisina.
*tratto da http://www.sinistraecologialiberta.it
INVERTIRE LA ROTTA, VERSO TUNSI
Lunedì 10 ottobre al Caffè Letterario Firenze
Alle Murate Via dell’Agnolo
Il racconto, il futuro
ore 18:30 incontro con
PHILOMENE KRI MARISA NICCHI CARLO MOSCARDINI
e tutti i naviganti...
APERICENA
ore 21:30 Concerto
GABIN DABIRÈ
progetto co-promosso da:Sinistra Ecologia Libertà
e le associazioni “Wuana Africa, “Adelante”,
“Osteria del Leone”- Circolo Sant’Ilario a Settimo (Lastra a Signa, Fi)
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