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Articolo 21 - Editoriali
Bugie e promesse non mantenute, la Sardegna esempio più eclatante
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di Ottavio Olita

Ed ora, che fare con quel 40 per cento di elettori che ha disertato le urne e con i tanti che hanno girato le spalle a Berlusconi? Che fare con quei cittadini laici e combattivi che ancora si riconoscono nelle liste di sinistra e radicali? E come rapportarsi con i tanti che hanno dato maggior forza all’Italia dei Valori e alla nettezza dei giudizi sempre espressi da Di Pietro?
“L’Italia non è il Paese di plastica rappresentato dalla televisione”. E’ una delle espressioni più efficaci utilizzate da Dario Franceschini nel corso della campagna elettorale ed è frutto, io credo, di un’analisi di quel che negli ultimi 15 anni è diventata la nostra principale industria culturale. Di plastica, la televisione, perché le si vuol togliere quella fondamentale e formidabile funzione documentaristica che potrebbe e dovrebbe avere per assegnarle solo quella di offrire i “circenses” agli utenti: dimenticate la realtà, ridete, divertitevi, sognate un mondo fatto solo di spettacolo, di canzoni, di successo, di realities.
Da oggi bisognerà stare ancora più attenti perché, il mancato sfondamento di quota  40 per cento e la forte distanza del Pdl da quell’obiettivo prefissato, indurranno Berlusconi a far ripartire l’ennesima campagna propagandistica. La risposta bisognerà darla interpretando e proponendo soluzioni per la quotidianità, per le difficoltà di vita, di lavoro, di mancanza di certezza sul futuro, per combattere la precarietà. Alla plastica della televisione e alle bugie della propaganda, gonfiate da quel tipo di televisione, bisognerà rispondere con un’osservazione molto più attenta della realtà, senza delegare questi compiti soltanto a personaggi e organismi di fortissima personalità, ma relegati in preziose nicchie, come la Gabanelli, Riccardo Icona, Michele Santoro, “la Repubblica”, “l’Unità”. La politica progressista riprenda questa funzione abbandonata da tanti anni e che Franceschini, girando l’Italia in treno, in  autobus, in metropolitana, ha mostrato di voler seguire nell’ultima campagna elettorale: ritornare all’ascolto e diventare i megafoni di chi non ha voce e potere; non abbandonare la strada della denuncia dei rischi per la democrazia che rappresentano i progetti di modifiche costituzionali – ad esempio il ridimensionamento della funzione del Parlamento - urlati da Berlusconi. Se il centrosinistra ritrova e pratica questo forte legame con la società, forse si superano anche le inutili e dannose divisioni che ancora squarciano le forze politiche che si battono per la trasformazione e il progresso.
Un esempio di tutto questo può essere dato dall’analisi del voto in Sardegna. Rispetto alle europee del 2004 c’è stato un calo dell’affluenza alle urne del 33,6%. Perché? Perché solo pochi mesi fa il Governo e Calderoli avevano promesso che il collegio unico con la Sicilia sarebbe stato sdoppiato e che quindi gli elettori sardi, numericamente distantissimi dai siciliani, avrebbero potuto eleggere per Strasburgo i propri candidati. Promesse utili a vincere le regionali di febbraio e dimenticate lungo strada. Il 6 e il 7 giugno si è recato alle urne soltanto il 40,9 per cento degli aventi diritto. Non solo. A La Maddalena, scippata del G8 e non certo convinta dalle tante promesse sostitutive fatte da Berlusconi, ha votato solo il 32 per cento. La partecipazione alle elezioni ha ritrovato la sua consueta dimensione nei comuni nei quali si è votato per il rinnovo delle amministrazioni locali.
Il messaggio è chiarissimo. Come fare ad ignorarlo? C’è la possibilità di ricostruire la presenza nella società di una politica che ne interpreti i bisogni, senza trasformarli nei falsi e abbaglianti prodotti plastificati della televisione. E’ La ripresa di quel fitto ed intenso lavoro politico che è l’unico, efficace strumento contro le imponenti e ricchissime campagne propagandistiche di chi continua ad avere un immenso potere economico, televisivo, pubblicitario non controllato o condizionato da alcuna legge.

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