di Bruna Iacopino
Non sono in tanti, eppure è difficile non notarli. Nel caos totale di un tardo pomeriggio romano, in una delle piazze principali, piazza della Repubblica, solo gli atleti del “rientro presto a casa, o quanto meno ci provo” possono passare veloci e far finta di nulla: le bandiere non smettono per un attimo di sventolare, così come non cessano i cori scanditi con una cadenza ritmica da far invidia alle migliori tifoserie. Solo che in questo caso il tifo è al contrario, non sono cori a favore di... ma sono contro il regime di Mubarak e tutto il suo entourage. “Musbarakk” è a tutti gli effetti il cartello di maggior impatto e traduce anche bene quelli che sono i sentimenti della gente scesa in piazza. “ Non ci basta che lui se ne vada, devono andarsene anche tutti i suoi amici! Altrimenti nulla potrà cambiare”. Chi mi parla regge un cartello con appese foto di feriti e ospedali, ma anche del Mubarak dittatore, vestito di tutto punto a fare da contraltare. “ Vedi” mi fa “ lui è solo la testa del cobra, per uccidere il serpente è proprio la testa che devi schiacciare...”
Un attimo prima stava reggendo il microfono mentre adesso regge un cartello, rivolto alla piazza, e mi racconta della sua terra depredata da una classe politica che non ha fatto altro che svendere tutte le sue ricchezze, mentre la gente moriva di fame: “ E adesso è anche peggio- mi dice- non si trova nulla da mangiare, non si trova la farina, la situazione è grave... la gente è costretta a presidiare le case e le strade senza dormire perché ha paura delle razzie, non c'è nessun tipo di controllo...”
Le urla dei bambini sono quelle che salgono più in alto e in maniera più vivace, a loro è affidato il compito di dare voce alla rivolta, sicuri e orgogliosi scandiscono slogan in arabo alternandoli a quelli in italiano, quasi tutti hanno una bandiera in mano e la sventolano con forza: loro rappresentano il futuro, le energie migliori. “Se oggi scendo in piazza è per garantire un paese migliore ai miei figli” dice qualcuno.
Accanto a loro solidarizza un piccolo gruppo di italiani, sventolano le bandiere di Sel e Prc.
“ Lo sai, questi giovani che vedi sono tutti laureati, non c'è nessuno che non lo sia...” mi dice fiero uno dei manifestanti, vedendomi con penna e carta tra le mani, dopo avermi rivolto un saluto in arabo, che non capisco. Lui di bandiere ne ha due, una sulle spalle e l'altra sull'asta, il suo è un continuo parlare e scuotere la testa, una nenia di “ …mi dispiace, mi dispiace che le cose siano andate così...”
All'inizio con Mubarak tutto sembrava andar bene, sostiene, poi però sono arrivati gli interessi che hanno prevalso su tutto e si è venuta a creare una vera e propria mafia affaristica: al vecchio impero britannico sono subentrati gli USA, con i loro interessi energetici e commerciali, e Israele “... e voi subito dietro, perché a guadagnarci non sono stati solo gli americani!”.
Il mio interlocutore senza nome sta in Italia da 15 anni, e nonostante una laurea in storia si ritrova a fare il pizzaiolo: “ Se ho lasciato il mio paese per venire in Italia è colpa di Mubarak, altrimenti non lo avrei mai fatto, devo dire grazie all'Italia che mi ha accolto, ma l'Egitto è completamente diverso... Quando torno casa io mi vergogno di dire che faccio il cuoco, ma fin quando le cose non andranno meglio non posso tornare…” E anche l’Italia, non è che sia proprio il paradiso: “ Ci guardate male, per voi noi arabi, neri, gialli… siamo tutti uguali, tutte cattive persone e poi c’è lo spauracchio dell’Islam…”
L'orgoglio e l'amore per la patria lontana, per i famigliari che ora vivono ore drammatiche traspare dai suoi occhi e dalla sua voce come da parte di tutti i presenti.
Un orgoglio che diventa forza e voglia di riscatto e cambiamento che deve passare attraverso le energie migliori del paese, attraverso i giovani, svincolandosi per sempre da quella servitù di stampo neo-coloniale che li vede assoggettati al mondo occidentale. “ L'Egitto ha tutto, ha il gas, il petrolio, il turismo... ma di quelle ricchezze noi non abbiamo mai visto nulla sono serviti ad arricchire i vari burocrati e ministri, la famiglia di Mubarak e i suoi amici... e il figlio di Mubarak è tra i peggiori mafiosi.”
Che lui se ne debba andare è opinione condivisa, come quando mi mostrano un cartello dove il raiss è seduto accanto a Ben Alì: meno chiaro è invece chi debba subentrare al suo posto. Su El Bardei le opinioni sono contrastanti, qualcuno lo vede di buon occhio, mentre altri vedono in lui l'ennesimo burattino messo lì dalle potenze occidentali.
Intanto, le notizie che giungono a singhiozzi, non sembrano rassicurare: migliaia di evasi dalle prigioni stanno facendo razzia di tutto, la paura serpeggia tra la gente che si è organizzata in ronde difensive, mentre i negozi continuano a rimanere chiusi, le comunicazioni sono problematiche, adesso i telefoni funzionano ma a momenti. “Io ho sentito la mia famiglia solo oggi da quando è iniziato tutto” mi dice un ragazzo, che tra i cugini ne conta uno ferito a un occhio dalla polizia. E i morti? gli chiedo... “ sono più di 500, gli ospedali sono pieni di feriti e non c'è più materiale medico per curarli, e poi ci sono quelli spariti perché arrestati...”
C'è gran fermento in attesa della manifestazione al Cairo di oggi e già si pensa di replicare anche a Roma a sostegno del popolo egiziano, di nuovo in piazza della Repubblica o magari di fronte all'ambasciata, mentre qualcun altro prospetta un appuntamento in grande, magari una manifestazione dell'intera comunità egiziana in Italia ( 30.000 persone) a Roma già questa domenica, ma i tempi sono stretti, le distanze lunghe e loro restano pur sempre “immigrati” regolari, quando va bene, altrimenti, semplici lavoratori, sotto ricatto.